Dal Teatro Verdi di Busseto al successo – intervista a Cristina Santi

Dal Teatro Verdi di Busseto al successo – intervista a Cristina Santi

  • 27/06/2017

Il soprano italo-uruguaiano Cristina Santi ha appena debuttato nel ruolo di Santuzza ne la ‘Cavalleria Rusticana’ di Mascagni. La sua voce dal colore caldo ed avvolgente, i suoi fiati lunghi e i suoi acuti precisi e pieni le hanno garantito un meritato successo a seguito della prima eseguita al Teatro Verdi di Busseto. In attesa della prossima replica il prossimo 5 luglio, abbiamo avuto il piacere di intervistarla.

Cosa significa per lei Mascagni?

Posso dire quello che significa Mascagni per me, nella Cavalleria Rusticana e nel ruolo di Santuzza. Mi da la possibilità di esprimermi in tanti colori diversi sia vocalmente che drammaticamente in solo 75 minuti di musica. Eseguire Mascagni è come avere in mano l’olio essenziale che ti permette di fare un profumo che arriva diretto al cuore. É anche una sfida perché devo mantenere il giusto equilibrio interpretativo e non superare il limite, ciò mi permette di tenere il controllo della situazione artistica, cosa che per il mio temperamento è stato sempre difficile.

Come si è preparata per entrare nel ruolo e renderlo al meglio, come lei ha saputo fare in palcoscenico lo scorso 10 Giugno?

Cavalleria rusticana è stata l’opera con la quale mi sono laureata al biennio di canto nel conservatorio di Adria. L’ho studiata a fondo per poi eseguirla all’esame finale (che ho superato con la lode). Quindi, è un’opera che conosco bene grazie al percorso di ricerca e di profondo studio sia dell’opera che della novella e del dramma di Verga. Dopo questa esperienza non mi sono fermata, e l’ho preparata con il M° Leone Magiera con il quale studio attualmente il repertorio, curando molto la tradizione che appartiene al verismo e restando in attesa di una occasione per mettere in atto la mia interpretazione.

E dunque, l’occasione è arrivata, cos’ha la Santuzza di Mascagni in comune con Cristina?

Sono nata e cresciuta in Uruguay in un periodo molto duro per noi dovuto alla dittatura. Senza dubbio molto diverso dalla Sicilia di Verga, l’Uruguay era comunque un paese maschilista e ipocrita dove il comportamento delle persone era tante volte dominato dalla paura e dalla falsa morale. Sono cresciuta in un piccolo paese del nord, abitato da proprietari terrieri latifondisti dove mio padre era stato trasferito per il suo lavoro in ospedale. Sono stata testimone silenziosa di tante situazioni particolari dove per esempio ogni tanto spariva qualche compagna di scuola perché semplicemente andava a trovare una zia nella capitale, non sapevamo nemmeno se era viva. Un giorno tornò cambiata, silenziosa e diversa perché, dicono, era rimasta incinta del suo ragazzo e hanno dovuto “sistemarla”. Certi rapporti umani erano vissuti di nascosto e con la paura costante di essere scoperti. La donna doveva sposarsi vergine, casta, pura e soprattutto ignorante di tutto quello che riguarda il rapporto di coppia. Nella mia interpretazione, l’emozione che prova Santuzza al sapersi abbandonata da Turiddu non è solo una questione di gelosia, e più la disperazione di capire che mai più nessuno la vorrà come donna, come moglie, rifiutata per sempre dalla società. Alcuni autori dicono che il personaggio di Santuzza diviene quello di La Lupa di Verga ed io condivido questa tesi in parte. Per fortuna io non ho mai dovuto vivere situazioni simili ma il mio essere empatica mi ha permesso di capire cosa provavano le mie compagne di scuola davanti a quelle vicende. Quella paura la conosco bene. Quello che prova Santuzza non è gelosia, è disperazione… ed è per quello che fa quello che fa, arrivando persino ad ammazzare indirettamente a Turiddu. Questa è la mia visione che può non essere sempre condivisa con il regista o con chi lavoro (questa è la terza Santuzza che interpreto), quindi sono sempre disposta a costruire il personaggio anche partendo da altre visioni.

Il suo percorso formativo musicale l’ha svolto tra Vienna e l’Italia, quali ritiene siano i punti di forza e quali i punti deboli della formazione nei conservatorii italiani?

Sono venuta in Italia vincendo una borsa di studio per fare il corso di perfezionamento di canto nel biennio sperimentale al conservatorio A.Buzzolla di Adria. Non è stato semplice, ma questo non lo speravo neanche. Nella mia esperienza personale quello che mi ha colpito di più non è stato il fatto di cercare di adattarmi al sistema di insegnamento italiano, che pensavo fosse di alto perfezionamento dato il suo titolo di biennio e quindi paragonato ad un master degree. Penso che essendo sperimentale e non sia ancora assestato, la difficoltà dello studio deriva dal fatto che viene trattato come un beginner ogni volta che si iscrive ad un corso. Sono abituata ad altri sistemi di studio, ad esempio alla facoltà di Ingegneria dell’Uruguay dove ho studiato e mi sono laureata tanti anni fa, un master degree viene impartito dai professionisti per i professionisti, cioè per i colleghi che hanno meno esperienza ma che comunque fanno le basi della professione, in questo caso si tratta dei fondamenti del canto lirico. Invece non è così. Poi ci sono altri problemi legati al fatto del costante cambiamento di insegnanti di canto ma su questo non voglio estendermi perché è un problema che gli italiani conoscono meglio di me. Questi sono senza dubbio i punti deboli della formazione nei conservatori italiani per quello che riguarda, ripeto, la mia esperienza di studio. I punti di forza per una cantante straniera come me sono quelli di studiare in prima persona e sul posto a vera tradizione del melodramma italiano con maestri e professori che ci trasmettono quello che è stato insegnato a loro dai grandi, ma non come un racconto e si, attraverso la vera esperienza professionale.

Cos’ha significato per lei debuttare Cavalleria Rusticana a Busseto?

Debuttare a Busseto è stato un piccolo momento di gloria. Piccolo perché ormai è già passato e sono immersa in nuovi progetti grazie anche a questa esperienza, con possibilità di cantare Cavalleria in altri teatri. Una fermata nel duro cammino, un prendermi un respiro per continuare la strada. La conferma che sono sulla strada giusta. È l’incoronazione al mio profondo studio e alla dedizione totale per questa arte che amo con tutta la mia anima. Un premio anche per la mia famiglia che mi è lontana, questo diventa non solo il mio trionfo ma un “nostro trionfo”. Ma come ho detto prima, io sono fatta così: guardo sempre avanti, sto già lavorando su altri progetti, sempre con la valigia in mano perché purtroppo in Italia lavorare è difficile. Esiste un sistema che ormai è stabilito da anni ed è difficile l’inserimento di nuovi talenti nel mercato. Per fortuna ci sono delle occasioni come questa di Busseto che tramite un’audizione e tanta preparazione sono riuscita a superare.

La sua carriera operistica si è finora svolta prevalentemente all’estero, dopo questo successo quali sono le sue speranze?

La speranza continua ad essere quella di studiare approfonditamente e trovare le situazioni giuste per me, che mi permettano di sviluppare la mia arte che oggi non è com’era prima del debutto. Ogni volta è più bello, più maturo, più ricco. Sempre avanti, sempre meglio e sempre ottimista. Se posso sperare un po’ di più oserei sognare di sviluppare la mia carriera in Italia perché l’Italia è il paese del mio bisnonno, che io ho scelto per vivere ed esprimermi artisticamente.. e devo dire che anche l’Italia ha scelto me perché ovunque vado il mio canto viene sempre apprezzato. Io quando canto dono tutta me stessa, mi risparmio in nulla, e il pubblico lo percepisce.

Un’opera che vorrebbe cantare?

Anni fa a questa domanda rispondevo sempre Tosca. Ma siccome il canto, la carriera e la vita sono sempre un costante devenire, oggi dico che sono in attesa di una occasione per il debutto della Principessa Eboli del Don Carlo. Opera che adoro e che continuo a studiare con i miei cari maestri in modo che quando arriverà il momento giusto sarò lì con tutto il mio cuore, anima e verità.

Sofia Lavinia Amisich

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