LIONE: La fanciulla del west – Giacomo Puccini, 2 aprile 2024 a cura di Jorge Binaghi

LIONE: La fanciulla del west – Giacomo Puccini, 2 aprile 2024 a cura di Jorge Binaghi

  • 08/04/2024

La fanciulla del West

opera in tre atti di Giacomo Puccini

su libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini


Direttore Daniele Rustioni

RegiaTatjana Gürbaca

Personaggi e Interpreti:

  • MINNIE Chiara Isotton
  • JACK RANCE Claudio Sgura
  • DICK JOHNSON Riccardo Massi
  • NICK Robert Lewis
  • ASHBY Rafał Pawnuk
  • SONORA Allen Boxer
  • SID Matthieu Toulouse
  • TRIN Zwakele Tshabalala
  • BELLO Ramiro Maturana
  • HARRY Léo Vermot-Desroches
  • JOE Valentin Thill
  • HAPPY Florent Karrer
  • LARKENS Pete Thanapat
  • WOWKLE Thandiswa Mpongwana
  • JACK WALLACE Paweł Trojak
  • JOSÉ CASTRO Paolo Stupenengo
  • BILLY JACK RABBIT Kwang Soun Kim
  • LE POSTILLON Didier Roussel

SCENE Marc Weeger
COSTUMI Dinah Ehm
LUCI Stefan Bolliger
MAESTRO DEL CORO Benedict Kearns

Orchestre et Chœurs de l’Opéra de Lyon

Opéra National de Lyon, 2 aprile 2024


Al festival di primavera questa volta l’Opéra ha scommesso sul giuoco delle carte, e insieme a La dama di picche ha scelto di ricordare il secolo passato dalla morte del grande Puccini con uno dei suoi titoli meno “popolari” che forse si sta aprendo finalmente strada grazie alle decisione del Maestro (dopo la problematica Butterfly) d’invertire corso e puntare su altri argomenti e decidere -non senza ripensamenti e discussioni sul libretto che nemmeno Verdi – di presentare il suo successivo lavoro al Met di New York con un soggetto “tipicamente americano”, quello della febbre dell’oro.

photo®JeanLouisFernandez

Inutile insistere sulla novità di musica, orchestrazione (il Maestro sempre attento a quanto veniva fatto di nuovo al punto d’irritare qualche francese per essersi servito nientemeno che di Debussy – a sua volta malmenato dai connazionali…), serrato ritmo drammatico, numeri chiusi sempre più brevi e scarsi (forse a questo non è estraneo un successo mai risoltosi in popolarità).

Ma una grande opera lo sarà sempre anche se non godrà mai del favore di altre sorelle e Lione ha scelto bene e con intelligenza. Non ha cercato delle star vere o pretese ed è riuscita a fare uno splendido lavoro d’insieme con il suo punto più debole (è strano…) nel nuovo allestimento per la regìa di Tatjana Gürbaca.

photo®JeanLouisFernandez

Ma questa volta la regista non ha infierito come altre volte e pazienza se le scene sono inadatte (soprattutto l’atto secondo, responsabile Marc Weeger) o i costumi della protagonista ne fanno al primo atto una star di cinema muto a colori tutta in dorato e al secondo una ragazza col pigiamino (peccato che non le abbiano dato un Topo Gigio da giocarci, responsabile Dinah Ehm). Ma le luci (Stefan Bollinger) sono belle e i personaggi risultano ben delineati anche se non tutti gli interpreti hanno lo stesso livello artistico.

Quanto alla parte musicale qui si rivela fondamentale e, come dovrebbe essere sempre, capace di rimontare ogni possibile problema dell’aspetto visivo. La direzione di Daniele Rustioni è questa volta inappuntabile, piena di ritmo, dramma ma anche accorato lirismo (vuoi nei momenti iniziali del Coro – una compagine stupenda molto ben preparata da Benedict Kearns – vuoi in quelli altri della fine dell’opera ma anche negli scarsi momenti – ma importantissimi – tra Minnie e Dick e nelle commosse frasi della protagonista che compaiono nelle sue due “arie” o “ariosi”: ‘”Laggiù nel Soledad” e “Povera gente”). L’ottima Orchestra asseconda la bacchetta in modo mirabile ed evita il pericolo – qui sempre presente – di sopraffare il palcoscenico.

photo®JeanLouisFernandez

Ma non ci sarà mai un Puccini di rilievo senza una compagnia di canto degna del Maestro e delle sue partiture. E anche qui siamo stati fortunati a cominciare dai tanti piccoli ma importanti ruoli coperti da alcuni allievi, membri del Coro e artisti già in carriera. Impossibile fare l’elenco telefonico ma almeno mettiamo in rilievo le prestazioni di Robert Lewis (bravo Nick), Allen Boxer (Sonora), Pete Thanapat (Larkens) e la bella voce di Pawel Trojak (il “menestrello” Jack Wallace). Unica altra donna la simpatica e molto presente Wowkle di Thandiswa Mpongwana  (spero di aver scritto bene).

I tre principali erano tutti bravi in diverso modo. Il Rance di Claudio Sgura ha il vantaggio di aver cantato già la parte che domina perfettamente e gli consente non solo di cantare bene ma anche d’interpretare in modo più sfumato del solito un personaggio che molte volte diventa solo un cattivone. Molto ben risolta la sua piccola aria “Minnie, dalla mia casa son partito”.

Riccardo Massi ha dalla sua un bel timbro squillante inconfondibilmente “italiano” che non guasta, di base omogeneo, e una buona estensione. Ancora deve lavorare di più rispetto all’emissione di alcuni acuti (non ha bisogno di forzarli o di aprirli) ma soprattutto è l’interprete che, se si muove discretamente, perde colpi nel fraseggio, poche volte al di sopra del generico (ecco perché il suo momento migliore, non a caso, è l’aria ‘Ch’ella mi creda libero e lontano’).

La protagonista è difficilissima non solo per le note che deve cantare ma perché il personaggio di per sé si trascina dietro una tradizione tra il “matronale” e il “verista coi fiocchi’ (penso alla partita di poker ma anche a molti altri momenti del personaggio). Anche se non mi dispiace penso che questa sia un po’ un limite e anche delle grandi interpreti del ruolo (non la Nilsson, che se mai peccava del contrario, ma perfino la “moderna” Jones o la quasi contemporanea Westbroek). Si dà il caso che si tratti di una “girl” o “fanciulla” non di una virago.

photo®JeanLouisFernandez

Chiara Isotton pare aver trovato la via più adatta (era anche una prima volta per lei). Non ha urlato mai, non ha spinto gli acuti a più non posso, non ha vociferato certe frasi (sarebbe possibile e forse fanno il loro effetto o effettaccio che sia). Ha sempre cantato benissimo con un colore caldo e assolutamente uguale in tutti i momenti e i registri, gli acuti sono stati esattamente quelli e non grida, emessi ad arte, ma anche le mezzevoci. Ha un centro notevole e la voce ha una pastosità tutta sua da vero “spinto” anche se alleggerisce tutto il possibile e soprattutto riesce a far dimenticare i sopraddetti vestiti con un fraseggio che sempre ha un suo senso particolare (esempio, il momento di togliersi le scarpe al secondo atto che tanto irritava alcuni Catoni dell’epoca). Arrivata al momento di mostrare le unghie certo che le mostra ma senza dimenticare di essere “una povera fanciulla oscura”. Ma non “buona a nulla” certamente. Un trionfo meritato.

Ma ovazioni anche per tutti e soprattutto per Rustioni e la “sua” orchestra. Da rilevare anche il “tutto esaurito” e la presenza di tanti giovani interessatissimi (è così che si guadagna un nuovo pubblico, non con concerti “facili” magari con tre o quattro tenori).

Jorge Binaghi 

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