VIGHIZZOLO DI CANTU’: La Traviata 13 gennaio 2018

VIGHIZZOLO DI CANTU’: La Traviata 13 gennaio 2018

  • 20/01/2018

Melodramma in tre atti. Musica di Giuseppe Verdi.
Libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853

Direttore Jacopo Brusa

Regia Roberto Catalano

Personaggi e Interpreti:

  • Violetta Valery Sarah Tisba
  • Flora Bervoix Elena Caccamo
  • Annina Luisa Bertoli
  • Alfredo Germont Mauro Secci
  • Giorgio Germont Guido Dazzini
  • Gastone Giacomo Leone
  • Barone Douphol Luca Vianello
  • Marchese d’Obigny Filippo Rotondo
  • Dottor Grenvil Giuseppe Zema
  • Giuseppe Ermes Nizzardo
  • Amiche di Flora Veronica Ghisoni, Afra Morganti, Adriana Patanè

Scene Emanuele Sinisi
Costumi Ilaria Ariemme

Orchestra 1813

Produzione AsLiCo

Nuovo allestimento


Di traviate se ne sono ormai viste di ogni…  verrebbe da dire. Tante che risulta difficile immaginarne di nuove, soprattutto di nuove che abbiano un senso, e che quel senso non abbia a scontrarsi con l’essenza stessa dell’opera finendo spesso con lo sfigurarla irreparabilmente. Regie fatte a pezzi e senza che si capisse bene dove volessero andare a parare, incuranti di ogni minima logica.

Mi ha invece molto sorpreso questa nuova idea ad opera del regista Roberto Catalano, per le scene di Emanuele Sinisi e i costumi di Ilaria Ariemme. Idee intelligenti, eleganti, nobili… nessuna voglia di dare scandalo al solo scopo di far parlare di se, ma soltanto voglia di raccontare una bella storia, quella di Violetta, attualizzandola, ma senza strafare.

Qui Violetta è una modella e la scena si svolge all’interno di un atelier fotografico. Pochi ed essenziali elementi di scena: nel primo quadro, una fotocamera piazzata su di uno stativo, due panche rivestite in pelle nera, alcune foto alle pareti, ognuna con un dettaglio del volto della protagonista, un fondale bianco. Lei sta posando per un servizio fotografico in abito lungo. In prima battuta  potrebbe ricordare miniserie tv americana “Gia”, una storia romanzata sulla realmente esistita modella Gia Carangi, per la regia di Michael Cristofer commissionata dalla tv via cavo HBO e che valse un Golden Globe ad Angelina Jolie, contribuendo a lanciarne la carriera. Violetta, così come Gia, è una star scatenata, dà il meglio di sé posando per il fotografo che la ritrae, è sensuale e un poco aggressiva, irrefrenabile. È la regina indiscussa del  jet-set. Entrano gli amici, all’uopo gli acquirenti dei lavori esposti. Siamo al baccanale, i costumi sono sobri ed eleganti, parte essenziale nel completamento dello spazio. Il brindisi, diversamente dalle esigenze di tradizione, si compie non con lo spumante, bensì con una bevanda verde. E’ assenzio? I convenuti abbandonano la scena portandosi via ognuno una fotografia appesa, ognuno un pezzo di Violetta. Cominciano così a delinearsi i contorni del dramma: è la star ad essere fatta a pezzi e venduta! Il secondo quadro presenta poche variazioni in termini di scena. L’atelier fotografico assume le sembianze di un loft, vi insistono alcuni abiti appesi su di uno stand di tipo IKEA, un baule tecnico e un grande tavolo luminoso sul quale trovano posto alcune carte, fotografie, una lampada da scrittoio e una macchina da scrivere sulla quale Alfredo sta lavorando e da dove intonerà il “lunge da lei”. Anche per il terzo quadro le variazioni sono minime, se pur significative. Quello che era il tavolo diviene una lavagna luminosa appesa alla parete e sulla quale i convenuti attaccheranno in modo scomposto i pezzi di un puzzle che compongono il volto di Violetta Valery. Nella scena finale, quello che era stato un tavolo ed una lavagna poi, diviene il letto su cui si concluderà l’opera. Un letto illuminato, capace di enfatizzare in modo sorprendente la drammaticità del momento. Sullo sfondo una composizione ordinata di fotografie recanti il volto della Traviata coperte da un velo che la stessa trascinerà con se nella morte, lasciandoci sgomenti ad osservare quella che è un’icona ormai nota a tutti.

In definitiva, un’idea registica di notevole impatto emotivo, che necessita di un intenso lavoro di squadra, che denota senso della teatralità nell’azione e nel movimento dei personaggi, prima tra tutti la protagonista sulla quale è stato costruito tutto l’impianto.

Violetta è divinamente interpretata dal soprano Sarah Tisba (e per divino quel che si vuole intendere è quello stato dell’arte in cui si va a creare qualcosa che come il Creato è si perfettibile, ma bello, ed ha una ragion d’essere) le cui doti ho personalmente già avuto modo di apprezzare in Madama Butterfly lo scorso anno (clicca qui per la recensione), sempre in Opera Pocket e con lo stesso team vincente regia-scene-costumi. Spiccata attorialità, facile negli acuti così come nel centro e nel registro grave. Una prova di tutto rispetto che dovrebbe assicurarle di diritto futuri impegni in realtà di maggior rilievo. Benissimo anche il tenore Mauro Secci, impegnato nel ruolo di Alfredo Germont, che promette un futuro interessante ed al quale vorrei poter consigliare di credere maggiormente nel proprio mezzo e di interessarsi più al testo che alle note, sulle quali non sembra aver mostrato particolari problemi. Convince anche il giovane baritono Guido Dazzini nel ruolo di Giorgio Germont la cui timbrica stenta solo un po’ nel registro acuto, ma che speriamo troverà il modo di ben sviluppare con l’esperienza. Bene i ruoli di fianco.

L’Orchestra 1813 risponde egregiamente alla bacchetta del Maestro Jacopo Brusa che non manca di attenzione al palco dettando puntualmente gli attacchi agli interpreti e che sceglie una lettura dell’opera accelerata nei momenti di tensione, quasi a volerne sottolineare ulteriormente lo stato d’animo, incorrendo talvolta nel rischio di sottrarre il tempo necessario agli interpreti per completare la frase. Pericolo scampato e che certo verrà del tutto messo fuori discussione nel corso delle prossime recite con l’affinarsi delle parti in gioco. Quel che ne risulta è in linea con l’idea generale della rappresentazione e non fa che aggiungere valore ad un lavoro di per sé già perfetto. Un appunto va invece sollevato per quel che concerne l’orchestrazione, qui per esigenze di costi e di spazi ridotta ameno di una ventina di elementi, che talvolta assume una connotazione quasi barocca.

Roberto Cucchi

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