PARMA: SIMON BOCCANEGRA IN FORMA DI CONCERTO, a cura di Jorge Binaghi

PARMA: SIMON BOCCANEGRA IN FORMA DI CONCERTO, a cura di Jorge Binaghi

  • 25/10/2021

SIMON BOCCANEGRA IN FORMA DI CONCERTO

Musica GIUSEPPE VERDI

Casa Ricordi, Milano

Melodramma in un prologo e tre atti su libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito dal dramma Simón Boccanegra di Antonio García-Gutiérrez

Parma – Festival Verdi 2021

 

Maestro concertatore e direttore MICHELE MARIOTTI

Personaggi Prologo Interpreti:

  • Simon Boccanegra, corsaro al servizio della repubblica genovese IGOR GOLOVATENKO
  • Jacopo Fiesco, nobile genovese MICHELE PERTUSI
  • Paolo Albiani, filatore d’oro, genovese SERGIO VITALE
  • Pietro, popolano di Genova ANDREA PELLEGRINI

Personaggi Dramma Interpreti:

  • Simon Boccanegra, primo doge di Genova IGOR GOLOVATENKO
  • Maria Boccanegra, sua figlia, sotto il nome di Amelia Grimaldi ANGELA MEADE
  • Jacopo Fiesco, sotto il nome di Andrea MICHELE PERTUSI
  • Gabriele Adorno, gentiluomo genovese RICCARDO DELLA SCIUCCA
  • Paolo Albiani, cortigiano favorito del doge SERGIO VITALE
  • Pietro, altro cortigiano ANDREA PELLEGRINI
  • Un capitano dei balestrieri FEDERICO VELTRI
  • Un’ancella di Amelia ALESSIA PANZA

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

Maestro del coro GEA GARATTI ANSINI

In coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna

Con sopratitoli in italiano e inglese

 

Teatro Regio, 16 ottobre 2021


Per diversi motivi, a parte il maledetto virus, da tempo non entravo al Regio. È stata una grande emozione (anche se non amo il nuovo sipario), e ancora di più con la capienza completa. Non avevo mai visto qui questo titolo che forse (dovessi sceglierne uno, spero proprio di no) è quello di Sciur Peppin (scusate l’irriverenza) che mi è più vicino al cuore: quest’opera amata anche dal Maestro che ci teneva tanto a questo figlio un po’ zoppo (sono più o meno parole sue) e che è stato fondamentale per convincerlo finalmente ad accettare di mettersi di nuovo al lavoro con Arrigo Boito (quella scena del Consiglio è da far venire i brividi): e questa era la mia emozione più forte perché il Doge corsaro è molto unito a ricordi familiari e di gioventù (scusate lo sfogo personale).

Per aiutarmi a trascorrere una serata speciale c’era anche la versione in forma di concerto, che mi sono sempre piaciute ma negli ultimi anni (parecchi) mi consentono di assistere più tranquillo a una recita di opera lirica. Il Boccanegra è teatralissimo ma grazie soprattutto alla musica e quindi, se lo si fa bene, basta con la musica per restituirne la grandezza e non distrarre con inutili “orpelli’’.

Devo anche ammettere che dopo le recite dal vivo dirette dal grandissimo Claudio Abbado a Ferrara e Firenze (benché con compagnia molto più modeste di quelle scaligere, come è successo anche con Toscanini) mi è diventato veramente difficile tornare a teatro per quest’opera perché in particolare certi momenti “dovevano” portarmi alle lacrime o alla pelle d’oca e quando questo non si avverava (perfino con buone bacchette e cast di maggior lusso) mi esasperavo. Pensavo quindi che fossero cose che capitavano alle persone “grandi”, incallite dall’ascolto e dalla frequentazione dei teatri, e non mi aspettavo più di tanto.

E perciò il mio primo “grazie” va a Michele Mariotti, perché ci ha dato un Verdi puro, di oro colato che mi ha teletrasportato al 1961, la prima volta in cui ho incontrato su un palcoscenico il grande Simone. A prescindere dei grandi momenti come appunto la scena del Consiglio, vibrante ma anche malinconica (“Piango su voi”) e altri altrettanto riusciti vorrei metterne in rilievo tre: l’atmosfera soffocante e buia del Prologo con l’esplosione del coro finale (che non è mica un momento “bandistico” di Verdi) e in particolare il momento in cui, finito il duetto con Fiesco, il corsaro s’inoltra nel “palagio altero” solo per trovare silenzio e morte; il meraviglioso terzetto con il quale si chiude praticamente l’atto secondo; infine, tutta la scena finale dell’opera a partire dal nuovo incontro-scontro tra i due nemici, un pirata incoronato e un aristocratico di vecchio stampo. In questo momento, con l’aiuto imprescindibile dei cantanti, Mariotti riusciva a svelarci il concentrato dell’umanesimo verdiano che dà forma a tutta la parabola artistica del Maestro, ma che rifulge in particolare dalla Trilogia popolare in poi. “Pianse ed amò per tutti” è il ben noto epitaffio di D’Annunzio alla morte di Verdi. Il pianto (di dolore, di disperazione, di colpa, perfino d’amore) è forse la chiave del perché del suo successo, sempre più grande. Da quel “piango” con cui inizia il grande concertato dell’atto primo al meravigliato e soddisfatto “Tu piangi? Tu piangi” rivolto a Fiesco c’è tutta l’evoluzione dell’essere umano seguendo il vecchio detto di Eschilo “Si arriva alla conoscenza tramite la sofferenza” che qui si compie in Fiesco che, come tutti noi, sente il rimprovero nella pietà altrui e il fatto di esserci arrivato ma tardi, e il coro conferma “sì, piange, piange è vero, ognor la creatura, s’avvolge la natura in manto di dolor”. Lì sono davvero crollato.

Igor Golovatenko – Foto di Roberto Ricci

La concertazione di Mariotti (“Maestro concertatore e direttore” come ai vecchi tempi) accompagnava i cantanti senza mai sopraffarli e contemporaneamente faceva spiccare il volo sinfonico quando richiesto (introduzione all’atto primo, tutta la scena del Consiglio, il concertato che chiude l’opera) ma sapeva anche essere traslucido e quasi impalpabile nei momenti intimi (un solo esempio: l’ultima volta che il Doge contempla il mare). Orchestra e coro del Comunale di Bologna (istruito da Gea Garatti Ansini) sono strumenti duttili nelle mani di un Maestro che li conosce e che loro chiaramente amano.

E i cantanti, perché senza di loro tutto questo sarebbe straordinario ma insufficiente: sugli scudi Michele Pertusi e Igor Golovatenko. Non sono nuovi la sapienza di canto e l’accento del basso parmigiano, e poi la voce continua ad essere bella e salda e perfino con più volume del solito. Alla pertinenza del fraseggio univa un piccolo gesto che la dice lunga: applaudiva sempre quando gli era possibile il lavoro dei colleghi.

Michele Pertusi – Foto di Roberto Ricci

Il baritono russo, se è vero che non solo si presentava  per la prima volta al Regio ma anche indossava i panni del protagonista, è stato bravissimo: di voce magari non troppo bella né molto personale ma timbratissima (piuttosto chiara e quindi un po’ avara nei gravi) e di estensione notevole spiccava anche per il fraseggio accurato e l’ottima dizione e soprattutto non è di quelli che pensano che il personaggio sia tutto di un pezzo sempre in forte o mezzoforte, con do acutazzi e simili che qui, meno ancora che in qualsiasi titolo di Verdi, risultano improponibili.

Angela Meade non è forse l’ideale per Maria/Amelia o forse non era la sua una delle grandi serate. Cominciava con un molesto vibrato nell’aria, guardava costantemente il Maestro, dimenticava una frase e solo a partire dal “Ferisci’’ nella scena del Consiglio sembrava più a suo agio. Il momento migliore era tutto l’intervento nel secondo atto e nel concertato finale.

Angela Meade – Foto di Roberto Ricci

Il giovane Riccardo Della Sciucca (25 anni se i miei dati sono corretti) aveva il merito di consentire che le due recite si potessero fare, ma sarebbe da aspettarsi che in futuro con doti poco comuni (una voce di bel timbro e omogenea da tenore lirico pieno) non rischi troppo presto con parti esigenti come quella di Adorno (ricordiamo che alla prima di questa seconda versione il tenore scelto da Verdi era il futuro creatore del suo Otello, Francesco Tamagno). Sembrava soprattutto preoccupato di mettere in valore il suo acuto ma, caso tipico, per riuscirci spingeva senza alcun bisogno. Di fraseggio e accenti sarebbe prematuro parlare ma le buone intenzioni si notano.

Riccardo Della Sciucca – Foto di Roberto Ricci

Sergio Vitale cantava un buon Paolo, in fondo un anticipo di Jago, ma la voce suonava appannata. Molto interessanti i giovani Andrea Pellegrini, che si faceva valere tutto il possibile nelle frasi del “cattivo minore”, e cioè  Pietro, e Federico  Veltri nella breve ma non facile parte del Capitano nell’ultimo atto. Poco si può dire di Alessia Panza che cantava l’unica frase dell’ancella di Amelia.

Sergio Vitale – Foto di Roberto Ricci

Il pubblico non riempiva la sala, ma l’intensità crescente degli applausi diventati vere e proprie ovazioni alla fine, smentiva il dato numerico.

 Jorge Binaghi

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