CAGLIARI: Pagliacci – Ruggero Leoncavallo, 30 giugno 2022 a cura di Loredana Atzei

CAGLIARI: Pagliacci – Ruggero Leoncavallo, 30 giugno 2022 a cura di Loredana Atzei

  • 03/07/2022

RUGGERO LEONCAVALLO

PAGLIACCI

 

Direttore Domenico Longo
Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi

Personaggi e Interpreti:

  • Canio/Pagliaccio Sergio Escobar
  • Nedda/Colombina Anastasia Bartoli
  • Tonio/Taddeo Ernesto Petti
  • Beppe/Arlecchino Christian Collia
  • Silvio Leon Kim
  • Primo contadino Alessandro Frabotta
  • Secondo contadino Moreno Patteri

Scene Cristina Cherchi, Andrea Gennati, Michela Iaquinto, Virginia Zucca
Luci Andrea Ledda
Costumi Luisella Pintus
Maestro del coro Giovanni Andreoli

Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari

 

Teatro Lirico di Cagliari, 30 giugno 2022


Il Teatro Lirico di Cagliari porta in scena il dramma in due atti  “Pagliacci”, scritto e musicato da Ruggero Leoncavallo. Il capolavoro verista  questa volta va in scena in solitaria, senza l’abituale compagnia della “Cavalleria rusticana” al quale di solito viene abbinato.  La rappresentazione è quella classica e semplice dell’ Ente Marialisa De Carolis di Sassari già portata in scena nel 2019.

L’Arte del pittore Felice Casorati, nella sua fase a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 viene scelta come spunto visivo per immaginare luoghi, abiti, colori.

I riferimenti pittorici sono presenti sia nelle scene, firmate degli allievi del corso di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Sassari, Cristina Cherchi, Andrea Gennati, Michela Iaquinto e Virginia Zucca, che nei costumi di Luisella Pintus.

Le luci, estremamente efficaci, sono di Andrea Ledda.

Teatro Lirico di Cagliari: Pgliacci – Ruggero Leoncavallo, photo©Priamo Tolu

La regia sobria, e tradizionale, è quella di Piero MaranghiPaolo Gavazzeni  che sottolineano di amare le Opere per quello che sono, aggiungendo che “Nel racconto letterario e musicale  di Leoncavallo, condensato in maniera straordinaria, c’è già tutto.” E hanno ragione.

Alla luce di queste considerazioni perché eliminare dei potenti elementi scenici che appartengono all’immaginario collettivo?

Personalmente ritengo incomprensibili alcune scelte, come l’assenza della frusta in mano a Nedda nel colpire Tonio al volto, l’inesistente pollo che Taddeo avrebbe dovuto comprare per Colombina e la mancanza della tavola imbandita a cui si fa cenno nel duetto con Arlecchino. Cose che sono abbastanza stranianti, ben più dell’episodio di Tonio che dice di restare a “nettare” un somarello di cui non c’è traccia, o di Silvio che scappa verso i vicoli dell’abitato invece che per il sentiero.Tutte cose che non invalidano la recita, certo, ma nemmeno la aiutano.

Lo spettacolo si apre con le note dell’introduzione musicale e la proiezione sullo sfondo di alcune righe, che spiegano il delitto al quale dovette assistere Leoncavallo da bambino, seguite dall’immagine di Pierrot, il Pagliaccio triste con il costume iconico che fu anche quello di Caruso.  Le proiezioni sono curate dal servizio Lucidiscena.

Con dietro l’effige del compositore avanza Tonio, abbigliato come Taddeo, il pagliaccio che interpreterà nella commedia del secondo atto. L’aria rappresenta uno splendido esempio di meta-teatro con il racconto che anticipa la recita vera e propria e dove il pubblico viene spiazzato dal continuo alternarsi di realtà e finzione fin quasi a perdersi, esattamente come si perderà, di li a poco, Canio.

Teatro Lirico di Cagliari: Pgliacci – Ruggero Leoncavallo, photo©Priamo Tolu

Il baritono Ernesto Petti  dipinge un “Prologo” di grande effetto sfoggiando un bel timbro, una lunga tenuta in “Al par di voi respiriamo l’aere” , e una voce teatrale che oltrepassa sempre il golfo mistico nonostante la  direzione orchestrale del Direttore Domenico Longo si riveli da subito un po’ ingombrante, ottenendo spesso di sovrastare le voci. Ernesto Petti è bravo a far vivere il personaggio di Tonio/ Taddeo in tutte le sue sfumature.  La deformità è appena accennata con una lieve zoppia. D’altra parte il cantante ha una bella presenza che non è possibile nascondere.

Ma questo gioca a suo vantaggio perché sottolinea come  non sia tanto il corpo ad essere deforme, quanto l’anima.

Sul suo viso si percepisce la ferocia dell’innamorato respinto che medita vendetta. Anche sul palco quando interpreta Taddeo, nonostante la balbuzie, e le battute divertenti, si avverte la profonda cattiveria.

Dopo il “Prologo” Tonio esce tra i meritati applausi e si apre il sipario su un palchetto montato in piazza, con proiezioni sullo sfondo di campi, e scorci di abitazioni paesane.

Il Coro di Cagliari diretto dal Maestro Giovanni Andreoli costituisce un bell’insieme visivamente apprezzabile e vocalmente corretto, qui arricchito dal Coro di voci bianche del conservatorio “G.P. Da Palestrina” di Cagliari diretto dal maestro Enrico Di Maira.

 Ad animare la scena intervengono abili giocolieri e acrobati che anticipano, come d’usanza, l’arrivo dei guitti.

Il primo atto soffre di una recitazione piuttosto ingessata e la mancanza di elementi scenici toglie importanti elementi allo spettacolo. Al contrario il secondo atto ingrana bene da subito. Anche il coro si impegna in piccole baruffe e schermaglie nell’attesa che entrino i teatranti.

Sul Palco Anastasia Bartoli, lunghi capelli neri, gonna rossa e corsetto bianco, interpreta perfettamente Colombina con tutti i suoi vezzi e le mossette. La voce si rivela ampia e musicale anche se nel primo atto, nell’aria “Stridono lassù…”, subisce un po’ la pesantezza dei suoni orchestrali che in alcuni casi coprono la voce.

Il suo amante, Silvio, è interpretato in modo funzionale dal, seppur bravo e apprezzato in altre occasioni, Leon Kim. C’è da sottolineare che il duetto tra i due è inficiato dalla distanza che intercorre tra loro per buona parte della scena e che diventa così carente sul piano passionale.

Teatro Lirico di Cagliari: Pgliacci – Ruggero Leoncavallo, photo©Priamo Tolu

Si fa notare positivamente l’Arlecchino di Christian Collia con una serenata cantata con grande armonia ed esibizione di colori.

Bravi anche i due membri del Coro di Cagliari, Alessandro Frabotta e Moreno Patteri, che interpretano il primo e il secondo contadino.

Infine il Canio di Sergio Escobar ha voce chiara e potente. E’ vero che inciampa  sul “ A 23 ore…” , ma fornisce una buona prova riscattando questa piccola  increspatura con una buona esecuzione di “Vesti la giubba…” che riscuote i giusti applausi.

Nell’avvicinarsi al proscenio declamando “Recitar mentre preso dal delirio…” vediamo che il pesante sipario rosso si chiude dietro di lui.  Separandolo da tutti.

Lasciandolo solo con la sua tragedia. Sa di dover salire sul palco e fingere mentre in scena verrà ridicolizzato. Dovrà rivivere il tradimento della donna amata tra le risate del pubblico.

In quel sipario chiuso c’è la sottile linea di separazione tra realtà e commedia, tra l’uomo in lacrime e il Pagliaccio costretto al sorriso. Ed è tra le pieghe di quel sipario che il Canio di Escobar si perde incapace di distinguere tra il mondo reale e la fantasia.

Un Canio spaesato e disperato che trasforma il pianto  in rabbia folle  nel secondo atto con  “No, pagliaccio non son…” dove dimostra in modo credibile di essere un uomo, e non il clown che tutti prendono in giro.

E la tragedia avviene immancabilmente. Come da copione. Con Colombina ferita a morte e Silvio che si getta contro Canio e da esso viene trafitto. Ora nessuno ride più del Pagliaccio, e non ride nemmeno dell’uomo.  Ora che Canio è un assassino che guarda il pubblico con gli occhi fissi nel vuoto, dritto in piedi, come paralizzato dall’orrore e con ai piedi due cadaveri.

È Tonio, sul fondo, con un’espressione di rara ferocia nel viso solcato da un cupo sorriso sardonico, ad esclamare: “La commedia è finita!”

Un diritto all’ultima parola che Ernesto Petti si è guadagnato sul campo.

Loredana Atzei

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