VENEZIA: Mefistofele – Arrigo Boito, 20 aprile 2024 a cura di Sivia Campana

VENEZIA: Mefistofele – Arrigo Boito, 20 aprile 2024 a cura di Sivia Campana

  • 23/04/2024

Mefistofele

Arrigo Boito


direttore Nicola Luisotti

regia Moshe Leiser e Patrice Caurier

 

Personaggi e Interpreti:

  • Mefistofele Alex Esposito
  • Faust Piero Pretti
  • Margherita Marta Torbidoni
  • Marta/Pantalis Kamelia Kader
  • Elena Maria Teresa Leva
  • Wagner/Nereo Enrico Casari

scene Moshe Leiser
costumi Agostino Cavalca
light designer Christophe Forey
video designer Etienne Guiol
coreografia Beate Vollack

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

maestro del Coro Alfonso Caiani

coro voci bianche Piccoli Cantori Veneziani
maestro del Coro Diana D’Alessio
altro maestro del Coro Zoya Tukhmanova

Teatro La Fenice, 20 aprile 2024


Quando si parla di regia riguardo alla rappresentazione di un dramma in musica si intende un insieme di elementi che, in stretta sinergia con la visione del Direttore d’orchestra e l’interpretazione dei cantanti, dovrebbe concretizzare quella fusione che rende il melodramma (in ogni sua declinazione) la forma di teatro più completa: un testo scritto che attraverso gesto, musica, canto e, pur raramente, danza diviene esperienza unica, viva in quel momento e mai ripetibile in modo identico ed il nuovo allestimento di Mefistofele di A. Boito, presentato in questi giorni al Teatro la Fenice, sembra essere un chiaro esempio di ciò.

Photo © Michele Crosera

L’idea realizzata dalla celebre coppia di registi Moshe Leiser (che cura anche le scene) e Patrice Caurier, con i costumi di Agostino Cavalca, sembra muoversi su di un terreno filosofico e concettuale, lontana da ogni sofismo ma andando alla radice del dramma di Goethe che parla all’uomo dell’uomo e del conflitto con il male come di un problema interno e, per molti aspetti, quasi estetico.

Mefistofele è visto nella sua quotidianità, ad apertura di sipario è seduto in poltrona fumandosi una sigaretta nell’immenso palcoscenico vuoto e inizia la sua giornata facendosi una doccia, niente di straordinario dunque, come il male che spesso marca la nostra vita di tutti i giorni.

Photo © Michele Crosera

Gli interpreti divengono demiurghi della scena fornendole sempre un senso e rimbalzando anche il più orrido dei significati attraverso il più innocuo dei gesti: questo accade infatti durante l’incontro tra Mefistofele e gli angioletti (qui in vesti di chierichetti) quando egli, avvicinandosi al gruppo, ne porta via uno con sé, scelto a caso, semplicemente.

La forza dirompente del messaggio registico acquisisce poi ulteriore valenza nel dramma, culminando in particolare nella rappresentazione dei due sabba e nel finale dell’opera.

Photo © Michele Crosera

Durante la scena del Brocken appare una sfera terrestre sollevata in alto che, come un pendolino, comincia ad oscillare sempre di più (in sinergia con il crescendo in orchestra) coinvolgendo metaforicamente nelle sue fiamme tutto il teatro, mentre una moltitudine di demoni sotto di essa scandisce, con la potenza drammatica di un rito, le semplici parole di Boito che risultano però quasi trasfigurate: “Riddiamo, riddiamo che il mondo è caduto. Riddiamo, riddiamo che il mondo è perduto”. Detto tutto credo.

Nel Sabba classico tutto cambia assumendo la patinatura dell’interno di un teatro (la stessa Fenice) dove Elena è la Primadonna e Mefistofele un compiaciuto ed ironico ascoltatore.

Photo © Michele Crosera

Tralasciando i mille ulteriori dettagli di una drammaturgia sempre coerente e raffinata sotto ogni aspetto, mi limito a citare ancora il finale in cui Faust si salva suonando il suo violoncello e Mefistofele si gira verso la platea, pronto a far fuoco con una pistola sul Direttore, a cui ad inizio opera aveva consegnato il suo spartito fiammante.

Un’interpretazione personale ed assai interessante sul tema del male e sui modi in cui potersi, se non difendere, almeno proteggere che sembrerebbe identificarsi in una scelta etica o in ciò che porta il nome di cultura (in ogni guerra vengono spesso distrutti capolavori come spregio verso i valori di una civiltà). Di certo, concentrandosi su ciò che porta l’uomo a riflettere a mente aperta sulla propria stessa natura, lo spettacolo ottiene il grande risultato di porre potentemente un interrogativo nel luogo giusto, in modo efficace e con strumenti semplici … e non è compito da poco con una partitura complessa e multiforme come questa, in cui davvero gli equilibri mutano continuamente ed in modo repentino.

Photo © Michele Crosera

Sarebbe stato impossibile realizzare un simile allestimento senza una lettura orchestrale minuziosamente teatrale ed un cast concentrato sul gesto come sul canto. Tutti gli interpreti si sono posti infatti in modo eccellente giungendo ad un risultato complessivo omogeneo e drammaticamente coinvolgente.

Alex Esposito, quale Mefistofele, gioca in modo calibrato e costruisce il personaggio attraverso una vocalità rotonda ed omogenea posta al servizio di un’interpretazione attoriale eccellente e sempre in grande equilibrio. Certo a volte la parte rischia di prendere un po’ la mano all’artista portandolo a qualche effetto di troppo (fine III atto), ma visto nel suo insieme il demone trova potenza proprio nella contemporaneità della sua recitazione che lo rende indubbio mattatore del palcoscenico.

Photo © Michele Crosera

Il Faust delineato da Piero Pretti, attraverso un canto ben sostenuto tecnicamente quanto cesellato e morbido nel fraseggio, si pone in fiero contrasto con il suo tentatore, esibendo sempre una caratterizzazione dominata dal pensiero e dalla riflessione. Il tormento del personaggio viene così da lui ben sottolineato con un risultato assai felice e coerentemente teatrale.

Il soprano Selene Zanetti (accorsa in sostituzione della prevista ma indisposta Marta Torbidoni) ha affrontato con estrema teatralità la parte di Margherita esibendo un timbro interessante e potentemente drammatico.

Corretta Maria Teresa Leva quale Elena.

Completavano il cast Kamelia Kader (Marta/Pantalis) e Enrico Casari (Wagner/Nereo).

Sugli scudi il Coro del Teatro La Fenice diretto da Alfonso Caiani così come i Piccoli Cantori Veneziani diretti da Diana D’Alessio.

Photo © Michele Crosera

Nicola Luisotti alla guida dell’orchestra del Teatro la Fenice trovava nella partitura boitiana tutti i cardini di una lettura potente, drammatica ed in continua evoluzione piramidale, sempre minuziosa e raffinata quanto in totale sintonia con il palcoscenico.

Il teatro gremito ed il grande entusiasmo da parte del pubblico al termine della recita, riporta alla ribalta l’annoso problema delle scelte più o meno indovinate di un repertorio che sta diventando ormai sempre più difficile definire.

Silvia Campana

 

 

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