TEATRO ALLA SCALA: I Capuleti e i Montecchi – Vincenzo Bellini, 2 febbraio 2022 a cura di Nicola Salmoiraghi
I CAPULETI E I MONTECCHI
Vincenzo Bellini
Opera in due atti
Libretto di Felice Romani
Edizione critica a cura di C. Toscani
Casa Ricordi, Milano
Direttrice Speranza Scappucci
Regia Adrian Noble
Personaggi e Interpreti:
- Romeo Marianne Crebassa
- Giulietta Lisette Oropesa
- Tebaldo Jinxu Xiahou
- Lorenzo Michele Pertusi
- Capellio Jongmin Park
Assistente regista Joanne Pearce
Scene Tobias Hoheisel
Assistente scenografo Philippine Ordinaire
Costumi Petra Reinhardt
Assistente costumista Eleonora Rossi
Luci Jean Kalman e Marco Filibeck
Coreografia Joanne Pearce
Maestro d’armi Mauro Plebani
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Teatro alla Scala, 2 febbraio 2022
Alla Scala mancava dal 1987, quando la diresse Riccardo Muti, protagoniste June Anderson e Agnes Baltsa. Ora I Capuleti e i Montecchi di Bellini è tornata e ha visto la presenza sul podio di una direttrice di “nome”, ormai già adusa a prestigiosi traguardi internazionali, Speranza Scappucci. In realtà non si è trattato del debutto di una bacchetta femminile sul podio di una stagione del Piermarini; c’erano già state Claire Gibault per La station thermale di Fabio Vacchi (1995) e Susanna Mällki per Quartett di Francesconi (2011), ma indubbiamente Speranza Scappucci per la prima volta ha diretto i complessi scaligeri in un’opera del grande repertorio.
Titolo delicato, questo di Vincenzo Bellini, come tutto il Belcanto in generale, che viene dopo gli interessantissimi Pirata e Straniera (e la misconosciuta Zaira) e fa da raccordo con i capolavori della produzione del musicista (La Sonnambula, Norma, I Puritani, ma non trascurerei Beatrice di Tenda). Ci vogliono dinamiche, rubati, respiro, accompagnamento delle voci che si fa racconto. Tutto questo c’è stato nella direzione della Scappucci? Dopo una Sinfonia che francamente aveva fatto presagire il peggio (sonorità pesanti, gonfiate, e nessun sentito trasporto), la direttrice ha trovato un passo più adeguato e narrativo, che, senza particolari voli pindarici interpretativi, ha condotto comunque tranquillamente in porto la nave, molto tranquillamente, anche troppo. Curiosamente i momenti più ispirati, Speranza Scapucci li ha avuti accompagnando la protagonista, Lisette Oropesa, forse stimolata dalla levatura siderale di siffatta artista.
Lisette Oropesa debuttava il ruolo di Giulietta e l’ha fatto alla grande. La classe vocale del soprano statunitense ha poche eguali nel suo repertorio d’elezione, oggi. È il perfetto esempio di canto che si fa interpretazione e viceversa, non una nota o una parola vanno sprecate o sono puramente esornative: precisione, classe, tecnica, intelligenza al servizio della partitura, ed ecco che il personaggio di Giulietta ne esce vero, vivo palpitante; ogni suo singolo momento è stato una lezione di canto, ma se la grande scena, recitativo e aria “Eccomi in lieta vesta… Oh quante volte, o quante” è stata una sospesa oasi di bellezza vocale e intensità espressiva, ciò che resterà impresso nella memoria è la formidabile invocazione al padre nel secondo atto “Ah! Non poss’io partire” affrontata e ripresa in un trascolorare di pianissimi, stupefacenti messe di voce, acuti impalpabili eppur penetrantissimi che parevano provenire dall’anima, emozionanti e stilisticamente impeccabili variazioni di dinamiche e accenti. Superlativa.
Il suo Romeo – Marianne Crebassa, occorre dirlo, applauditissima – non mi è parso all’altezza. Non è che la Signora Crebassa canti male, proprio no, anzi, gusto e intenzioni ci sono. Ma… il grave non è realmente tale, più ricercato che naturale, l’acuto è spesso faticoso e di fibra, il centro costantemente vibrato. Il morbido velluto vocale che si vorrebbe nel giovane Montecchi proprio non c’è. Scenicamente è però credibilissima, nei panni del ragazzino impulsivo e ribelle (ammesso che Romeo questo sia, ma così l’ha voluto la regia).
Michele Pertusi è un lusso financo eccessivo come Lorenzo, ma il bravissimo basso parmigiano non ha fatto che confermare il detto che “non esistono piccoli ruoli ma piccoli artisti”. E Pertusi è artista grandissimo, per cui…
Jinxu Xiahou (Tebaldo) e Jongmin Park (Capellio) possedavno certamente le note per i rispettivi personaggi, che ne padroneggiassero anche il pathos è un altro discorso. Inappuntabile, come di consueto, il Coro scaligero diretto da Alberto Malazzi.
Una volta tanto ho lasciato per ultimo il nuovo allestimento firmato da Adrian Noble (regia), Tobias Hoeisel (scene), Petra Reinhardt (costumi), Jean Kalman e Marco Filibeck (luci), Jeanne Pearce (coreografia… ah, sì?) e Mauro Plebani (maestro d’armi), semplicemente perché c’è pochissimo da dire, uno spettacolo vero e proprio (inteso come teatro e regia) non rispondendo all’appello. Noble, a lungo direttore artistico della Royal Shakespeare Company, ha ambientato la vicenda in un generico “tempo moderno” (scene e costumi davvero anonimi e bruttarelli in verità, con la chicca davvero impagabile della tomba di Giulietta in pieno bosco con tanto di lampade liberty al fianco del catafalco) dove tutto procede però secondo l’usato e noioso costume e nulla succede, non essendoci una guida con idee, in realtà. E quando qualcuna tenta di apparire (i camerieri sballonzolanti con finte torte da comica finale al banchetto nuziale e il lancio di “bombetta” a mano con scoppio loffio che nemmeno a carnevale, nella battaglia conclusiva del primo atto) meglio fora…
In sostanza questi Capuleti e Montecchi hanno fatto rima con Lisette Oropesa (e il “cameo” di Pertusi). Il che è già molto, da un punto di vista, ma certamente non sufficiente, da un altro.
Nicola Salmoiraghi