PIACENZA: I due Foscari – Giuseppe Verdi, 5 maggio 2024 a cura di Nicola Salmoiraghi

PIACENZA: I due Foscari – Giuseppe Verdi, 5 maggio 2024 a cura di Nicola Salmoiraghi

  • 06/05/2024
GIUSEPPE VERDI

I due Foscari

tragedia lirica in tre atti di Francesco Maria Piave

direttore Matteo Beltrami
regia Joseph Franconi Lee

Personaggi e Interpreti:

  • Francesco Foscari Luca Salsi
  • Jacopo Foscari Luciano Ganci
  • Lucrezia Contarini Marigona Qerkezi
  • Jacopo Loredano Antonio Di Matteo
  • Barbarigo Marcello Nardis
  • Pisana Ilaria Alida Quilico
  • Fante Manuel Pierattelli
  • Servo del Doge Eugenio Maria Degiacomi

scene e costumi William Orlandi
luci Valerio Alfieri
coreografie Raffaella Renzi
regista collaboratore Daniela Zedda
ORCHESTRA DELL’EMILIA-ROMAGNA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
maestro del coro Corrado Casati

Teatro Municipale, 5 maggio 2024


Un’altra gemma è andata a impreziosire il già ricco diadema di Cristina Ferrari, direttrice e anima artistica del Teatro Municipale di Piacenza, che, in consueta coproduzione con il Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, ha proposto una delle opere più affascinanti, notturne e impetuose degli “anni di galera” verdiana, I due Foscari. Oltretutto un ulteriore “brava” va alla “leonessa di Piacenza” (credo la Signora Ferrari mi perdonerà il modo affettuoso con cui la appello da anni) per come ha risolto lo spinoso problema della defezione all’ultimo per motivi di salute (auguri allo splendido soprano lettone) di Marina Rebeka, tirando fuori della manica un vero e proprio asso, che andava a completare il poker in suo possesso

photo©Gianni Cravedi

Il primo era rappresentato da Matteo Beltrami, alla guida dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini in grande spolvero; un’altra grande prova verdiana (dopo Il Trovatore, sempre qui) per questo Maestro, di brillante carriera internazionale, ma che si vorrebbe assai più spesso sul podio dei Teatri italiani, come meriterebbe. Una lettura la sua intrisa di “verdianità” dalla prima all’ultima nota: lo è per scelta di tempi, tavolozza di colori orchestrali sempre varia, sfumata e intensa, passionale, incandescente scansione delle infuocate cabalette, abbandono nelle oasi liriche sempre innervate di palpitante verità drammatica, infallibile dialogo con il palcoscenico (e così la musica si fa Teatro). Questa opera bellissima e senza un attimo di tregua, che contiene in sé tutti i grandi temi verdiani (solitudine e potere, tormentati rapporti padre-figlio/a, amore indomito e sempre al limite del sacrificio e altro) è forse un capolavoro ancora imperfetto? Eseguita così l’aggettivo cade e il Cigno di Busseto, che ha già di per sé solidissime ali, trova chi lo fa volare verso quegli altissimi cieli che gli competono.

photo©Gianni Cravedi

Sul palcoscenico, nel ruolo del Doge Foscari un monumentale Luca Salsi, il più grande baritono italiano per Verdi, anche a livello internazionale. Voce bellissima, ampia, vellutata, omogenea in tutti i registri, di espressività suprema. Non una sola frase, un solo accento è buttato lì nell’interpretazione di Salsi, ma anzi ogni attimo è di volta in volta scolpito e cesellato con l’intelligenza e la forza di un grande artista, all’apice di una carriera fulgente. Va da sé che la grande scena finale, “Questa dunque è l’iniqua mercede”, ha infiammato il Teatro della recita domenicale oltre ogni dire, e a furor di popolo è stato concesso il bis, dove Salsi è stato ancora più bravo e commovente, ove fosse possibile, che nella prima esecuzione. Semplicemente esaltante e ce lo ricorderemo a lungo.

photo©Gianni Cravedi

Luciano Ganci è probabilmente oggi una delle più belle voci tenorili al mondo, e non esagero: argentea, squillante, sicurissima; non teme del ruolo di Jacopo Foscari né le iperboliche salite in acuto, né i dolenti e accorati accenti di disperazione, solitudine, sconfitta. Fa sembrare tutto facilissimo e non lo è affatto e il piacere di ascoltare un cantante così, un timbro così prezioso è tale che rappresenta uno dei rari casi in cui la bellezza del fatto musicale e vocale fa dimenticare gli eventuali affanni che si avevano entrando in Teatro. E questo è un dono non da tutti.

photo©Gianni Cravedi

Ed ecco l’asso sfoderato da Cristina Ferrari: nel perigliosissimo ruolo di Lucrezia Contarini (i soprani dovrebbero probabilmente chiedere a Verdi i danni per crudeltà mentale per quello che ha loro richiesto durante gli anni Quaranta dell’Ottocento) ecco la bravissima e giovane Marigona Qerkezi, che si è ritagliata la sua meritata fetta di trionfo. Temperamentosa e credibilissima in scena, della Contarini ha tutto: la grinta nell’accento, la sfrontata baldanza con cui morde e varia le cabalette, la souplesse con cui affronta ed espugna i più impervi passaggi di coloratura drammatica, la lucentezza smaltata di un timbro con cui dipinge gli splendidi momenti lirici del suo ruolo per ascendere poi a un registro acuto che ha l’insolenza di un’amabile folgore (lo so, è un ossimoro, ma non saprei descriverlo meglio). Superlativa, senza se e senza ma. Che stia ben attenta a preservare il più a lungo possibile questi importantissimi mezzi.

photo©Gianni Cravedi

Antonio Di Matteo, nobile d’aspetto e accento, ha fatto valere la sua ampia e risonante voce di basso nei panni del “cattivo” Loredano. Si è distinta, pur nei suoi brevi interventi, Ilaria Aida Quilico (Pisana). Completavano la locandina Marcello Nardis (Barbarigo), Manuel Pierattelli (Fante) e Eugenio Maria Degiacmi (Un servo del Doge).

photo©Gianni Cravedi

Eccellente il contributo del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, preparato da Corrado Casati.

Lo spettacolo, collaudato (era quello in cui nel 2011 a Trieste, Salsi debuttò nel ruolo di Francesco Foscari) porta la firma di Joseph Franconi Lee (regia), William Orlandi (scene e costumi, rispettivamente efficaci e d’effetto) e Valerio Alfieri (luci). Rassicurante e professionalissima tradizione (Cristina Ferrari conosce benissimo ciò che vuole il suo pubblico e non tenta qui inutili avventure), di grande eleganza visiva, che lascia un buon ricordo negli occhi e nelle sensazioni. D’accordo, non si è (ri)scritta la storia del Teatro Moderno. Per una volta (magari più di una) ce ne si faccia una ragione, eh! Va benissimo anche così.photo©Gianni Cravedi

Teatro stracolmo ed entusiasmo al calor bianco per tutti. L’opera è anche questo, vorrei dire è soprattutto questo.

Nicola Salmoiraghi

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