BARCELLONA: Concerto Natalie Dessay, 5 marzo 2024 a cura di Jorge Binaghi

BARCELLONA: Concerto Natalie Dessay, 5 marzo 2024 a cura di Jorge Binaghi

  • 18/03/2024

NATALIE DESSAY

-CONCERTO-

 

 Auditorio Victoria de los Ángeles, 5 marzo 2024


Caro ipotetico lettore, stai per perdere il tuo tempo leggendo una recensione di un concerto di canto col pianoforte con, orrore, molto poco di opera e invece tanto di musica da camera tra il lied tedesco e la mélodie francese (entrambi stili noiosissimi com’è noto). Poi, leggerai – se leggi visto che qualcuno oggi ancora legge anzichè guardare tiktok – su una cantante semiritirata che annuncia per i suoi sessant’anni (ma si fa notizia dopo i trentacinque?) ancora qualche concerto di addio. Si tratta “solo” di Natalie Dessay, che ha lasciato l’opera alcuni anni fa e nel frattempo ha fatto solo pochi concerti (anche di musica leggera) e qualche pièce di teatro (si accinge a debuttare un Goldoni a Parigi fra un mese o poco più). Difatti il sottoscritto (che è un rudere che i sessanta se li sogna) l’anno scorso si è fiondato su Parigi per un suo concerto al Théâtre des Champs Elysées con lo stesso pianista, Philippe Cassard. Per colmo dell’orrore (che direbbe la Margherita di Boito) adesso l’ha ripetuto con qualche minima variazione nell’ordine quasi un anno dopo per il suo debutto al Life Victoria come atto principale per celebrare il fatto che un auditorio moderno e importante venga intitolato a Victoria de los Ángeles (di cui “pure” quest’anno si compie il primo secolo della nascita…se qualcuno se la ricorda).

Risultato? Quello che ci si può (o poteva) aspettare da un’artista seria e responsabile: si ripetono i programmi non per pigrizia o faciloneria (pazienza se adesso è così) ma perchè si cerca (cercava) di andare fino in fondo a testo e musica. E quindi, dopo una serata indimenticabile con tantissimo successo e (udite udite) tanto pubblico e tanti giovani (molti studenti di canto che la vedevano per la prima volta), la domanda inevitabile: “Ma, Signora, come mai ha fatto per migliorare ancora un lavoro che l’anno scorso sembrava impossibile fare meglio?”. “Sa, io ho continuato a studiare e a lavorarci sopra. Adesso rassomiglia un po’ più rispetto a quello che ho in testa”.  Mi piacerebbe una volta stare cinque minuti nella testa di un’artista come questa, davvero: forse potrei capire sul serio i segreti sulla tecnica, lo stile, il solfeggio, le note che ha e quelle che aveva (e che alcuni vorrebbero sentire sempre e dovunque), invece che rimanere proprio alla soglia del mistero della musica, in periferia, sfiorando magari la superficie se va bene.

E quindi, la prima parte veniva declinata al femminile: si cominciava con tre lieder di Fanny Hensel-Mendelssohn, cantati molto bene e già con un aspetto da rilevare: le braccia e le mani della signora Dessay non sono le prime notevoli del canto lirico francese. Ma mi hanno fatto vedere le ali in uno dei testi, poi, andando avanti i capelli di una signora in un altro, poi siamo passati all’interiore degli esseri umani (sicuramente meno bello ma più interessante)… e mi venivano sempre in mente le famose mani della Crespin (c’è una scultura addirittura delle sue mani piegate della Marescialla alla fine dell’atto primo del Rosenkavalier).

Poi però è venuta un’altra moglie meno famosa del marito (cosa sicuramente immeritata), Clara Schumann con cinque pezzi, tutti ancora più naturali e sciolti degli anteriori e soprattutto con un ‘Liebst du um Scönheit’ (‘Se ami la bellezza’, su parole di tale Rückert, il cui nome forse vi dice qualcosa ma io non ve lo sto a spiegare) più che da manuale in un tedesco chiarissimo e perfetto, e con tutti i piani, le messe di voce, i contrasti, e (perfino!) gli acuti (e sì, ce n’erano ma non quelli che lei regalava nel belcanto o in Haendel e l’opera francese). Rispetto al programma francese ha aggiunto un quarto titolo ‘Er ist gekommen ‘ (Egli è venuto). Dopo un intervento in solitario del bravo maestro, la ‘Romanza’ opus 21 en la minore della stessa Chiara finiva la prima parte con tre canzoni di Alma Mahler, tre meravigliose interpretazioni, e in particolare la seconda ‘Laue Sommernacht’ ´- Tiepida notte di estate- e la terza ‘In meines Vaters Garten’ – ‘Nel giardino di mio padre- facevano pensare nel fraseggio, l’intensità, la malizia di un certo personaggio legato per sempre al nome dell’artista, la Zerbinetta dell’ Ariadne auf Naxos di Richard Strauss (“ah, sì, ma qui non ci sono i sovracuti!”, “No, non ci sono perchè qui non servono”).

Se la prima parte finiva in bellezza e con un’aria di festa la seconda è stata un vero e proprio trionfo. Siamo passati ai maestri francesi più celebri (non tutti, certo), a partire di una eccellente versione de ‘La chanson perpetuelle’ di Chausson (il meno famoso di tutti). Dopo è arrivato il momento, per me, più alto della serata. ‘La dame de Monte-Carlo’ è uno dei minicapolavori di Poulenc su testo di Cocteau. L’aveva fatta benissimo a Parigi; qui siamo entrati in un’altra dimensione complice anche tutto il corpo (soprattutto occhi e mani). Una versione di riferimento che nulla toglie a un’altra assolutamente diversa come quella di Anna Caterina Antonacci (a Martina Franca per essere precisi). Io troverei assurdo scegliere: le due sono memorabili e ti portano almeno ad affacciarti, a intravedere tutti gli stati d’animo di una donna in un momento cruciale della sua esistenza. I due ‘Monte-Carlo’ finali non sono usciti ancora dalla mia testa e dal mio cuore. Credo che andranno a incontrarsi con altri momenti che ho avuto la fortuna di vivere.

E guardate che proprio qui, all’inizio, la grande Dessay ha preso una papera: ha dimenticato le parole. La si è vista innervosita, chiaramente dispiaciuta con se stessa e l’energico “ripartiamo!” è suonato come sfida o scommessa. Vinta tra gli applausi scroscianti del pubblico.

Poi – ha cercato sempre di unire i brani perchè gli applausi non spezzassero la concentrazione, e anche perciò ha chiesto di non proiettare sottotitoli con le traduzioni, brava lei – veniva l’opera. Prima con il breve e magico e misterioso canto di Mélisande dalla torre del terzo atto del Pelléas di Debussy (‘Mes longs cheveux’); poi, dopo una buona versione della celebre ‘Élégie’ di Massenet da parte di Cassard, Dessay ha osato l’aria di Chimène de Le cid (‘Pleurez mes yeux’). Io a Parigi ero perplesso quanto adesso alcune persone: ma come, un ruolo di Falcon, cantato da mezzosoprani acuti o soprani quasi spinte? Capricci di diva… In effetti, a Parigi Dessay parlava con il pubblico (cosa che qui ovviamente non ha potuto fare) e aveva spiegato che in tutti i concorsi e lezioni di canto sentiva le colleghe di quelle corde che cantavano questa benedetta aria e che lei pensava che non avrebbe potuto mai cantarla. Sicchè adesso se l’è permesso e il risultato non è stato per niente discutibile o con soluzioni musicali ‘alternative’ che avrebbero potuto travisare o deformare il senso di parole e musica.  E per finire il programma ufficiale, cos’altro che l’aria dei gioielli del Faust di Gounod: ecco un ruolo che avrebbe potuto essere suo, forse, ma che mai non ha cantato per intero. Con tutti i trilli e tutti gli acuti! (durante quest’aria e la precedente di Mélisande venivano proietatte su uno schermo in fondo al palcoscenico – con il permesso della Dessay – immagini delle rispettive interpretazioni della De los Ángeles al Met di New York).

A Parigi era previsto un bis, e pure qui era lo stesso, una sentita e bella interpretazione del ‘Porgi amor’ da Le nozze mozartiane (di nuovo con proiezioni della Victoria al Met) di una perfezione quasi incredibile. Ma si vede che la signora era soddisfatta perchè ha aggiunto un altro frammento – meno famoso dei soliti – della ‘sua’ Lakmé, ancora più straziante del rispettivo momento dell’integrale di anni fa. Vorrei finire, non si sa mai quando è l’ultima volta che si scrive su un cantante che annuncia gli addii (alla lirica almeno), con la stessa frase che tanto tempo fa ho scritto per salutare la sua prestazione la prima volta che l’ho vista sul palcoscenico: ‘Chapeau, Madame’.

Jorge Binaghi

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