La freccia di Inanna – Le ere dell’Universo dalla Mesopotamia a Wagner I parte

La freccia di Inanna – Le ere dell’Universo dalla Mesopotamia a Wagner I parte

  • 05/11/2015

Questo che abbiamo ascoltato è uno dei più grandi capolavori artistici mai concepiti da mente umana, l’inizio dell’ultima grande saga epica: Der Ring des Nibelungen, L’anello del Nibelungo. Siamo qui all’origine del tutto, questa musica rappresenta lo scorrere del fiume primordiale da cui tutto ebbe origine; per Wagner, che prese la sua ispirazione dalla mitologia nordica, questo fiume era il Reno, per i Greci genitori primordiali erano Oceano e Teti, in Mesopotamia erano Apsu e Tiamat. Un lento fluire che aveva generato tutto: ma dove si trovano il Reno, Oceano e Teti, Apsu e Tiamat? Questa fu la prima grande domanda che si fece l’uomo!

Siamo nella bassa Mesopotamia, là dove ebbe inizio la storia, prima del 4000 a.C. Ad un certo punto gli uomini alzarono gli occhi verso il cielo e videro le stelle, le stelle fisse che ogni notte ricomparivano nelle stesse posizioni, nella volta notturna. Ai loro occhi quelle stelle creavano in cielo dei disegni, c’erano le due Orse, la Maggiore e la Minore, ed accanto a queste il Bovaro dell’orsa con Arturo che splendeva come poche altre stelle, c’era l’Aquila con la brillante Altair e la Lira con la stella più splendente dell’emisfero boreale: Vega. Vi era il Cigno che eternamente dispiegava le sue ali in volo, e sulla testa, a segnare il polo celeste, a quel tempo, sostava stabile la stella che fu poi chiamata α Draconis. Sapevano anche, sicuramente in seguito a grandi migrazioni, che dall’altra parte della volta celeste, a segnare il polo meridionale, splendeva la grandissima Canopo; ma con grande meraviglia videro che vi erano una serie di costellazioni che sembrava fossero state poste di proposito in successione come a formare un’ellisse in cielo, ed in queste sorgeva un mese dopo l’altro il sole; queste costellazioni erano le portatrici o pilastri del sole e segnavano il posto in cui il sole si trovava nel corso dell’anno. Osservando il cielo giorno dopo giorno, in quella pianura alluvionale nella quale la grande glaciazione aveva lasciato tantissimi acquitrini e terreni che attendevano solo di essere coltivati, quegli uomini si accorsero che il sole durante il suo percorso giungeva ad un punto più in alto e poi tornava indietro per giungere al punto più in basso per poi invertire di nuovo la sua corsa e risalire: quegli uomini chiamarono quei punti estremi solstizi, d’inverno quello posto in alto, d’estate quello posto in basso. Ma soprattutto vi erano due momenti sacrali dell’anno, due giorni in cui accadeva la meraviglia, in cui l’equatore celeste si incontrava con l’eclittica, il percorso del sole, ed in quei giorni magici le ore del giorno e della notte erano perfettamente uguali: gli uomini chiamarono quei giorni equinozi. In quello che si può definire tempo zero la meraviglia più grande fu che nei giorni equinoziali i pilastri del sole erano i Gemelli ed il Sagittario, tra i quali scorre la via lattea, il fiume primordiale da cui ebbe origine tutto: Oceano e Teti, o il Reno Wagneriano; in quel cielo perfetto la grande via che conduce dal cielo alla terra era aperta. Soprattutto l’equinozio di primavera, il momento in cui per la prima volta la costellazione dei Gemelli era sorta da oriente, divenne l’attimo fondamentale in cui era iniziato il tutto. 5000 anni dopo è sempre Wagner a dare di questo un’immagine di serena armonia nel canto delle figlie del Reno – sorelle gemelle – che salutano il sole che brilla sull’acqua primordiale:

 

Oro del Reno!

Oro del Reno!

Lucente letizia, come ridi serena, sublime!

Splendente splendore ti sfugge fulgendo nell’onda sacra!

Veglia amico!

Veglia sereno!

Voluttuosi giochi

giochiamo per te!

Sfolgora il fiume,

fiammeggia il flutto,

fluendo affondiamo

danziamo, cantiamo,

in bagno beato intorno al tuo letto!

Oro del Reno!

Oro del Reno!

 

È l’immagine di un mondo sereno e naturale che era appena uscito dal caos primigenio:

 

Quando in alto il cielo non era stato nominato,

non era stata chiamata con un nome in basso la terra ferma,

non vi era niente più che l’Apsu primordiale, suo genitore,

e con la madre Tiamat che partorì tutti loro,

mescolavano le loro acque come in un solo corpo.

non era stata fatta alcuna treccia per fare una capanna di canne

non era apparso alcun mare

quando nessun dio aveva ricevuto l’esistenza

non chiamati per nome non determinati i loro destini

Accadde che gli dei furono formati nel suo seno!

 

In principio, fu il Caos; e dopo, Gea, la Terra dall’ampio seno,

dimora perenne, sicura di tutti gli dei ch’hanno in possesso le cime nevose dell’Olimpo,

il Tartaro tenebroso nelle viscere della terra dalle larghe vie;

quindi Eros, il più bello fra tutti i celesti,

che scioglie ogni cura degli dei e uomini tutti,

doma nel petto ogni volere ed ogni accorto consiglio.

 

In questo mondo primordiale e sereno in cui regnava la natura ed in cui scorreva il fiume primordiale, lungo la linea zodiacale iniziarono a muoversi gli abitanti del cielo: i pianeti. In quel periodo mitico si credeva che grazie al ponte del fiume primordiale – la via lattea, che scorreva perfettamente allineata all’equatore celeste dai Gemelli allo scorpione – essi potessero giungere sulla terra, come gli abitanti della terra potessero giungere nei cieli.

Si immaginava che a quei tempi si vivesse in un armonia perfetta con la natura non esisteva l’odio e l’invidia:


Solo a chi rinnega la potenza dell’amore!

Solo a chi respinge la gioia del sentimento!

Solo costui avrà la magia

per costringere l’oro in anello

 

Sicure davvero noi siamo

e senza pensiero,

se tutto quel che vive vuol amare,

se nessuno l’amore vuole evitare.

 

Ai pianeti furono dati dei nomi e delle personalità e si notò a poco a poco che uno di essi era molto bizzarro, quasi vanitoso, si mostrava al crepuscolo per poi sparire e riapparire all’aurora, era il più brillante di tutti, si muoveva nel cielo rapidamente come qualcuno che voglia farsi ammirare da tutti, ma anche come un conquistatore che voglia appropriarsi di tutti gli spazi: quel pianeta non poteva essere che femmina, e non una femmina debole, ma una dea potentissima, bellissima e terribile:

 

Chi mi eguaglia!

Chi mi assomiglia!

Io sono divina, la signora del cielo, io, esercito la signoria;

piccoli e grandi io strappo via, o do loro stabilità.

Quando sto nei cieli la sera

Io come luce del cielo sto alta nel cielo

Quando al primo mattino m’affaccio nei cieli,

dal sorger del sole fino al tramonto io domino il cielo.

In bocca alla mischia io sono la prima di tutti i paesi.

Quando mi presento nell’occhio della mischia,

io sono un ciclone di forza straordinaria.

Quando sto nel folto della mischia,

io sono il cuore dello scontro, io sono il braccio dell’eroismo.

Quando marcio nelle retrovie,

io sono la distruzione che assalta maligna.

Quando seguo dietro alle linee,

io sono la donna che incita: “Marcia! Assalta!”

Quando mi siedo alla barra

io mi comporto da donna d’un uomo di rispetto.

Quando entro in una rissa

io sono donna che sa l’insulto.

Quando sto in giudizio

io sono donna dalla parola pronta.

Quando mi siedo alla porta della taverna,

io son la cortigiana che conosce l’amore.

 

Era nata Inanna o Istar o Astarte o Anat o Afrodite o Venere.

L’apparire di questa dea così potente non poteva lasciare tutto come prima.

Infatti accadde che una notte prima del 4000 a.C. sorse dal mare un astro luminosissimo: Venere era andata in congiunzione con Sirio, la stella più luminosa del firmamento e dal mare sorse un arco di fuoco e da quell’arco la fanciulla divina scoccò la sua freccia. E questa colpì l’ombelico del cielo e l’asse si spezzò e gli astri cambiarono la loro posizione e l’universo che c’era prima si chiuse e se ne spalancò un altro e: totus coelus taurulus fit!

 

I cieli chi li scuote? Io li scuoto.

La terra, chi la fa tremare? Io la faccio tremare.

Gli dei sono come uccelli che s’acquattano spauriti.

Gli Annunaki si fanno avanti, io li distruggo.

Io sono la giovenca nobile di Enlil

La giovenca che va a testa alta.

Io sono la signora, la vacca nobile che va in testa.

Gli Annunaki sono come un gregge numeroso, io sono che li guido al pascolo.

Io sono il gran muro di difesa delle regioni, io ne sono la spranga.

Io sono il bisonte montano, fornito di corna.

 

 

Cosa era accaduto?

Accadde che per la prima volta gli uomini si accorsero che le stelle fisse non erano poi tanto fisse. In quell’anno, all’alba dei tempi, al solstizio di primavera da oriente non era sorta la costellazione dei Gemelli ma era sorto il Toro. La dea dagli occhi di giovenca aveva sconvolto il cielo, scagliando dall’orizzonte la sua freccia. Tutto era diverso e non sarebbe più tornato come prima. Soprattutto la Via Lattea che scorreva perfettamente allineata all’equatore celeste si era spostata, il fiume primordiale non scorreva più come ponte fra il cielo e la terra, la strada che conduceva lassù si era chiusa!

Il furto dell’Oro del Reno rappresenta nella saga wagneriana questo momento di rottura epocale.


Non temete ancora!

Amoreggiate allora nell’oscurità, umida genìa.

Vi spengo lo splendore,

porto via l’oro dal suo scoglio,

e l’anello della vendetta io tempro,

perché l’onda lo oda:

io maledico l’amore!

Fermate il ladro!

Salvate l’oro!

Aiuto!

Questa prima precessione degli equinozi però fu interpretata dalle varie culture come processo derivante dall’amore, sia come creazione amorosa che come rinuncia.

In Mesopotamia fu la dea dell’amore a scagliare la freccia che sconvolse il firmamento.

In Grecia:

 

E quanti erano nati dalla Terra e dal Cielo furono i figli più terribili,

e vennero odiati dal loro padre fin dalla nascita

ché, appena nati, tutti li nascondeva giù nei baratri bui della Terra,

non li lasciava venire alla luce. E della sua opera malvagia, ne godeva Urano.

Mentre la sconfinata Gea gemeva, sentendosi gravata nella sua profondità

e così meditò un disegno malvagio ed astuto.

Generò in un attimo lo splendente diamante,

ne fece una grande falce, poi disse ai suoi figli diletti:

disse con animo audace, sebbene il suo cuore fosse triste:

«Figli che vi generai da un padre indegno, se volete udirmi,

or vendicare potremo gli oltraggi del padre vostro,

che per primo meditò opere infami contro di voi».

Cosí disse; ma il terrore li ghermì tutti coglieva, né alcuno parlava.

Ma il grande Crono dai tortuosi pensieri, ebbe coraggio, e senza indugio

alla sacra madre si volse con queste parole:

«O madre, io ti prometto di compier l’impresa: ché per nulla m’importa

del nostro infame padre: egli che rivolse per primo la mente per i nostri danni».

Cosí rispose; e Gea sconfinata ne fu molto lieta.

Ed allora in agguato lo nascose, ed in mano gli pose quella falce affilata,

e tutto l’inganno gli svelò.

Venne Uràno, il grande, recando la notte, e bramoso d’amore, avvolse tutta la terra;

allora il figlio apparve per l’agguato e stese la mano sinistra

e con la destra afferrò l’immane falce, larga, dai denti affilati

ed in un colpo solo falciò i genitali del padre suo,

e li scagliò lontani, gettandoli dietro di lui.

Né senza effetto quelli caddero dalla sua mano;

che quante stille di sangue erano sparse, tante ne raccolse la Terra:

e col volger degli anni, generò l’Erinni tremende, ed i forti Giganti,

splendenti nelle armi, che stringevano nei pugni le lunghe lance,

e quelle Ninfe che son chiamate Mèlie sovra la terra infinita.

E le vergogne, non appena le recise col diamante,

le scagliò via dal continente nell’agitato mare.

Per lungo tempo furono sbattute dal pelago;

e intorno all’immortale carne sorse una bianca schiuma.

In quella schiuma si formò una dolce fanciulla, che prima dimorò nella sacra Citèra,

e di lì giunse a Cipro, circondata dal mare.

E qui la veneranda dea che ama il sorriso, la bella, sorse dal mare;

e sotto i suoi piedi morbidi germogliava una tenera erbetta;

Afrodite la chiamano gli dei, la chiamano gli uomini: perch’ella fu nutrita dalla spuma:

Ciprigna anche è detta, perch’ella nacque a Cipro

Citerèa perché giacque a Citera; e Geniale perché sorse dai genitali.

Le fu subito compagno Eros, la seguì Himeros, il leggiadro desiderio,

appena ella nacque, e quando avanzò nel consesso degli dei.

Tale onore ella possiede dal principio, tale la sorte che detiene

fra gli uomini ed i numi immortali: i sussurri delle fanciulle,

ed i sorrisi, e gli inganni, ed il piacere, il dolce godimento,

ed i baci più dolci del miele, e la dolcezza, e l’amore che domina ogni cosa.

In questo nuovo tempo tutto era cambiato: il Toro che segnava l’equinozio di primavera dominava ormai la vita, era l’era dell’amore. Per i Greci, come abbiamo visto, l’amore sotto le sembianze della splendida Afrodite era sorto dal mare proprio a seguito di quella terribile mutilazione che aveva spostato la volta del cielo.

La dea nordica Freia verrà identificata già dall’antichità con l’Afrodite mediterranea, anch’ella era una dea bellissima e passionale che coltivava le mele dell’eterna giovinezza, allo stesso modo di Afrodite, che possedeva ai limiti occidentali dell’universo il giardino popolato dalle Esperidi con al centro l’ albero dalle mele d’oro.

Come sappiamo tutto lo svolgersi dell’Oro del Reno è una gigantomachia, la lotta fra dei e giganti, per il possesso di questa dea e di conseguenza dei grandissimi poteri che ella detiene.

 

Ora che si era chiusa la porta che faceva sì che gli esseri terrestri potessero salire in cielo, la vita iniziò a svolgersi solo in terra ed il cielo divenne altro: divenne il luogo dove vivevano gli dei, l’Olimpo, l’Empireo o il Walhalla, per l’uomo quella strada era chiusa per sempre.

Al contrario, gli dei potevano benissimo scendere sulla terra quando volevano, si disse che Crono camminava sulla terra in mezzo agli uomini.

 

Arcobaleno e finale del Rheingold

Il finale dell’Oro del Reno, con l’apparizione del ponte dell’arcobaleno e la salita degli dei al Walhalla rappresenta benissimo l’immagine di questa scollatura fra umano e divino avvenuta però in seguito alla chiusura della strada maestra che conduceva al cielo, cosa sottolineata benissimo dal canto delle Figlie del Reno.

Afrodite cominciò a sconvolgere i cuori degli esseri viventi, siano essi animali, uomini o dei. L’equinozio di primavera da quel momento le appartenne, lei che faceva germogliare l’erba e risvegliava in primavera la vegetazione. La Valchiria di Wangner sarà all’interno della saga dei Nubelunghi l’opera in cui dominerà l’amore in tutte le sue varianti, da quello passionale e travolgente dei Walsi Siegmund e Sieglinde, a quello parentale fra padre e figlia di Wotan e Brunnilde fino ad arrivare all’ideale assoluto che travolgerà infine Brunnilde facendola ribellare al padre e trasformandola nello strumento di redenzione universale che vedremo in seguito.

(ascolto dell’incantesimo della primavera die Walkure)

La porta per il cielo era chiusa per sempre, Gea ed Urano non si sarebbero più abbracciati, e l’universo era stato costretto in un anello; ma da quel movimento della volta celeste stava per sorgere la civiltà.

Da quel momento si entrò nel regno di Crono così che gli uomini conobbero il tempo ed iniziarono a contare gli anni, i mesi ed i giorni. Nacquero i calendari e poi Inanna:

 

La signora del cielo volse il suo pensiero ad impadronirsi del grande cielo,

al grande An, re del cielo volse il suo pensiero a sottrargli il grande cielo;

e la pura Inanna rivolse la parola ad Adagbir,

“Pescatore, pescatore! Là dove tu mi conduci,

nella palude, nell’ampia laguna,

là c’è canna secca, canneto verde e boscame”.

Queste parole erano appena uscite dalla sua bocca,

che la prosperosa riempì di gioia il cuore di Adagbir:

“O mia signora, la tua divinità, il tuo spirito sia rasserenato!

Nel canneto, tra le canne lussureggianti, guiderò  assieme a te la nave,

l’Eanna che scende dal cielo, io troverò per te!

Quando An farà alzare il vento meridionale ed ancora il vento meridionale,

farà alzare un vento cattivo dopo l’altro,

allora farà inabissare la nave Magur nella palude.

Con il mio remo io colpirò il canneto,

contro la mia grande rete si scaglieranno l’onda agitata, la potente acqua.

La pura Inanna entrò nel canneto sulla nave Magur,

con la rete catturò l’Eanna

ed osservò l’Eanna che scendeva dal cielo:

teneva stretta nella sua mano la corda

dopo che dall’interno del cielo l’ebbe fatta scendere,

Inanna assalì lo scorpione, e gli tagliò la coda.

Come un leone esso urlò di dolore, poi il suo urlo smise.

Allora la signora del cielo riferì l’accaduto ad An.

Quando An ascoltò quanto era accaduto

Per la disperazione colpì con le mani le sue cosce,

e cominciò a lamentarsi, gridando “Ohimè, ohimè:

mia figlia cosa hai fatto; io sono certo il più grande;

da oggi quanta luce del mondo diminuirà, essa sarà divisa in giorno e notte

in quel preciso giorno, durante la terza veglia notturna, giorno e notte saranno uguali!

Oggi allo spuntare del sole, così in verità sarà!

Poiché io non ho voluto ordinare: Mia figlia sia annegata; è proprio l’Eanna che tu hai derubato!

Come il cielo deve essere l’Eanna fondato solidamente; la sua delizia sia irresistibile!

Il più splendido paese di Sumer sia il suo nome; non esisterà nessuno che lo deturpi:

l’umanità, tutto ciò che può definirsi vita possa stare ai suoi piedi;

ora, per il dio sole di questo giorno, sia proprio così!”

L’Eanna essa ha rubato dal cielo, sulla terra essa l’ha solidamente fondato;

in questo giorno Inanna parla dell’Eanna, come “residenza della sua signoria”.

La signora, che ha raggiunto il luogo del suo trionfo,

Inanna, che ha raggiunto il luogo del suo trionfo,

dice: “dal cielo io porto via l’Eanna, un posto ideale!”

 

Così Inanna posò l’Eanna nel paese di Sumer e così nacque Uruk la prima vera città, così nacque la civiltà, così nacque la storia. Non si parla qui di extraterrestri che scendono coi loro dischi volanti dal cielo, ma solo di secoli in cui l’uomo da tempo osservò il lento fluire della volta del cielo. Poi, rendendosi conto che questo cambiamento epocale si era verificato proprio negli anni in cui loro creavano la prima città organizzata e creavano quella che poi sarebbe diventata la civiltà, essi capirono che i due cambiamenti epocali erano iniziati nello stesso tempo: in cielo era sorto il Toro, in terra era sorta Uruk, le due cose dovevano essere unite, quindi tutto tornò a lei Inanna, potente signora del cielo e nume tutelare della prima città, prima dea venerata dall’uomo civile.

 

L’equinozio di primavera da quel momento le appartenne, lei che faceva germogliare l’erba e risvegliava in primavera la vegetazione.

 

O Musa, dimmi le opere di Afrodite d’oro,

dea di Cipro, che infonde il dolce desiderio negli dei

e domina le stirpi degli uomini mortali,

e gli uccelli che volano nel cielo, e tutti gli animali,

quanti, innumerevoli, nutre la terra, e quanti il mare:

tutti hanno nel cuore le opere di Citerea dalla bella corona.

 

Il toro divenne il suo animale sacro. Fu Istar a scagliare contro Gilgames il toro celeste e dal momento in cui questi lo fece a pezzi i bovini divennero gli animali sacrificali per gli dei!

 

Come detto per gli uomini la porta del cielo era chiusa ma ci furono dei prediletti che vi poterono salire: accadde ad Enoch il patriarca gradito a Dio, ed anche ad Arianna la sposa di Dioniso, ma dovevano essere figure speciali e neanche quello bastava: Gilgamesh cercò in tutti modi la via che conduceva al cielo, quindi all’immortalità, ma non la trovò mai, Odisseo addirittura la rifiutò quando questa gli fu offerta da Calipso. Per salire al cielo si doveva esser forti belli e soprattutto graditi agli dei!

In una pagina a due di estrema bellezza, anche Siegmund rifiuterà di salire nel Walhalla, quando Brunnilde gli dirà che non potrà portare con se l’amata Sieglinde. Sarà questa rinuncia per amore la causa che porterà la Valchiria a ribellarsi al padre Wotan. Wagner condenserà questo concetto in uno dei motivi più belli e famosi di tutta la teatraologia: Il tema dell’amore dei Walsi che in Italia verrà giustamente tradotto come il tema della Giustificazione di Brunnilde.

 

Questo motivo da questo momento circonderà Brunnilde facendola diventare dalla guerriera fanciulla insensibile alla donna redentrice dell’universo.

 

ascolto duetto fra Brunnilde e Siegmund

Continua…..

Domenico Gatto

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