Il Trovatore –  Arena di Verona 6 agosto 2016

Il Trovatore – Arena di Verona 6 agosto 2016

  • 11/08/2016

il Trovatore

opera in quattro atti

di Giuseppe Verdi

Libretto di Salvadore Cammarano, Leone Emanuele Bardare

Dai carteggi tra Giuseppe Verdi e il librettista Salvatore Camarrano si può dedurre senza ombra di dubbio quanto il Maestro tenesse a che Azucena risultasse quale protagonista assoluta dell’opera che si ipotizza di titolare “la Zingara”. Successivamente la scelta del titolo ricadrà su “il Trovatore”, ma restano ben definite le intenzioni su caratterizzazione del personaggio ed importanza primaria del ruolo.

IlTrovatore_040816_FotoEnnevi_0091_20160804La regia qui proposta dal maestro Franco Zeffirelli è quanto di più distante si possa immaginare dagli intenti dell’autore. La mia personale impressione è stata quella di assistere ad uno spettacolo figlio di una scuola colossal-hollywoodiana, e svanito l’effetto “wow” di sicuro impatto delle scene, quello che resta è una sensazione di sconcerto. Lo scenario evoca, facendo perno sull’immaginario collettivo, un’ambientazione medioevale dai toni freddi e metallici, all’uopo surriscaldati dalle fiamme di quella o d’un’altra pira; idea è di per sé funzionale e potenzialmente funzionante. Sono certo di troppo e oltremodo didascaliche le due pur belle sculture di notevoli dimensioni che troneggiano per tutta la durata dell’opera ai lati delle scene, raffiguranti ognuna due lottatori in armatura.

IlTrovatore_040816_FotoEnnevi_0213_20160804La scena del racconto di Ferrando viene assolutamente deturpata del suo pathos che dovrebbe trovare origine in un’atmosfera avvolta da un’aura di superstizione e paura. I soldati richiamati all’attenzione e intrattenuti dalle parole del narratore paiono essere più adirati e pronti alla pugna che non terrorizzati dall’immagine di uno spirito malvagio impossibile da sconfiggere con le armi. Al suono delle campane che il compositore con sapiente maestria fa coincidere con la mezzanotte del racconto, i soldati si fanno coraggiosamente avanti come se stessero per combattere un nemico in carne ed ossa e non già “il male in persona”.

Siamo al coro degli zingari. Azucena appare da una non ben definita baracca in tavolame posta in un angolo remoto dell’immenso palco areniano e sulla scena permane un notevole numero di artisti del coro e del balletto. Occorrono almeno dieci/quindici secondi per capire da dove provenga la voce che sta intonando la mesta canzone. Altrettanto si impiega ad individuare la posizione, peraltro fuori-luce, dei due battilamiera alle prese con incudine e martello e che piuttosto che lavorare sulle pentole, pare stiano semplicemente battendo il tempo come odierni batteristi in un rave-party.

IlTrovatore_040816_FotoEnnevi_0361_20160804Abbattuta l’ultima barriera che vorrebbe gli zingari, almeno nelle tradizioni antiche, come popolo di artigiani e commercianti, ne esce solo la moderna visione e accezione del termine: zingaro uguale a delinquente. Oggi definire un Rom o un Sinti con il termine di zingaro ha assunto una valenza di carattere dispregiativo, accezione che non sempre a torto la comunità gagikanè (i non-zingari) ha loro attribuito a causa di un vivere al di fuori della legalità.  Sta di fatto che la stessa esistenza di un popolo che si muove liberamente, o con regole proprie, all’interno di un mondo normalizzato da usi e costumi diversi ha sempre, almeno sin dalla loro comparsa in Europa tra il XIV e XV secolo, comportato un problema. Ed è in quest’epoca, il medioevo, che si svolge la storia de il Trovatore, opera che per certi versi riscatta l’immagine della zingara, ma non solo…

Verdi vuole una zingara che sia prima di tutto madre amorevole, ma ossessionata dall’ingiustizia e dal rogo  dal quale sente e sul quale  vede la propria madre ardere viva, gridare vendetta e spirare. Lo si evince chiaramente dalla corrispondenza tra il maestro e il librettista Camarrano: Azucena è vittima innocente dell’iniquo  Conte di Luna. Il libretto descrive un popolo di perseguitati dalla prepotenza e dal  pregiudizio in un epoca in cui la Santa Inquisizione non badava a spese, in termini di vite umane, nell’epurazione dal maligno. Lo fa con una potenza senza precedenti e senza mezzi termini. La vicenda si apre col racconto di Ferrando che immediatamente precipita lo spettatore in un mondo invaso da un’aura di magia e di assurda superstizione. La zingara è abbietta, maliarda, capace di malefizi e sortilegi. Per questo viene catturata e condannata al rogo, ma è  capace persino di ricomparire “in varie forme” dopo la morte per perpetrare la sua vendetta. Ed è altrettanto evidente la prepotenza del conte e dei suoi sgherri che amministrano da sé la giustizia. Azucena, lo si capirà quando verrà arrestata, è in realtà una timorata di Dio: “trema, v’è Dio pè i miseri”, sono le parole con cui redarguisce il Conte di Luna, lo stesso Manrico viene da essa educato nella fede. Sembrerebbe, in sintesi, che il volere di Verdi sia quello di dipingere a chiari tratti una zingara ben lontana dall’idea della meretrice.

IlTrovatore_040816_FotoEnnevi_0549_20160804Ma ecco che, ulteriormente vilipesa l’immagine della protagonista e del suo popolo, fatta manbassa della dominante della superstizione, ne emerge una scialba trama di due personaggi non voluti protagonisti, inconsapevoli fratelli, che si contendono la mano di una non meno infelice Leonora: Manrico e il Conte di Luna. Un guazzabuglio di balletti e battaglie da dove usciranno tutti gabbati. Nondimeno, non v’è traccia alcuna della potenza di quel “messaggio subliminale” così caro alla storia italiana che in epoca risorgimentale ha tanto riscaldato gli animi degli insurrezionalisti: “all’armi!”. Qui non si combatte per l’insorgere dei “miseri” ai danni del potentato, bensì in nome di un Manrico eletto al rango di condottiero pur senza il supporto d’una “ragion di stato”.

In conclusione Azucena che dovrebbe cadere a terra sfinita, forse anche morente, estrae un coltello e si suicida! Il Trovatore, come ogni altro racconto letterario o rappresentazione teatrale, si regge su di una sua spina dorsale;  trama, ambientazione e caratterizzazione dei personaggi hanno una precisa grammatura e con le errate ricalibrature poste in essere in questa versione ne risultano stravolte per primo la potenza, e secondariamente i significati e il messaggio.

Va detto, ad onor del vero, che Franco Zeffirelli non è presente e che non se ne conosce la firma della ripresa.

IlTrovatore_040816_FotoEnnevi_0031_20160804Ciò detto, si aggiungano le rispettive responsabilità degli interpreti, tutti. Del Maestro Daniel Oren, immenso direttore dell’orchestra, del quale si riconoscono senza remore meriti d’ogni sorta, potrei dire che mi è parso di intravedere qualcosa di simile ad uno stato di rassegnazione legato probabilmente ad alcune scelte a lui poco gradite. L’Orchestra dell’Arena di Verona suona divinamente, ma sono frequenti le scollature tra “golfo mistico” e l’operato  dei solisti troppo spesso al di sopra delle righe. Molto bene il Coro preparato dal Maestro Vito Lombardi.  La Leonora di Hui He è spesso fuori tempo, tanto che dalla tribuna le viene urlato di imparare il solfeggio. I suoi sovracuti, quando ve ne siano stati, sono calanti e suonano sgradevoli. L’Azucena di Violeta Urmana, primo motivo della mia personale attrazione  e trasferta alla volta di questo spettacolo, canta bene ma al di sotto delle aspettative. Manrico di Marco Berti, dispone di una buona prima ottava ma incontra qualche difficoltà negli acuti. Restano fuori discussione il gradevolissimo timbro vocale e la potenza del suono. Sergey Artamonov, pur vocalmente ben dotato, ci offre un’interpretazione priva di enfasi. Decisamente meglio, se pur indisposto e di conseguenza perfettibile, il Conte di Luna di Artur Rucinski, che non a caso riceve dal pubblico il riconoscimento maggiore negli applausi. Completano il cast Elena Borin nel ruolo di Ines,  Antonello Ceron in quello di Ruiz, Victor Garcia Sierra in quello di un vecchio zingaro e Cristiano Olivieri in quello di un messo. Ottimo il corpo di ballo coordinato da Gaetano Petrusino.

Di diverso avviso è stato il pubblico di un’Arena gremita e calorosa che ha più volte interrotto lo spettacolo con applausi roboanti a scena aperta, anche per il solo accendersi delle luci su quelle scene ad effetto “wow”, mentre dalle costose poltronissime in platea  si sollevavano vezzose manifestazioni di sdegno ed esortazioni al silenzio!

Roberto Cucchi

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