GENOVA: Béatrice et Bénédict – Hector Berlioz, 28 OTTOBRE 2022

GENOVA: Béatrice et Bénédict – Hector Berlioz, 28 OTTOBRE 2022

  • 01/11/2022

Béatrice et Bénédict

Un’opera gaia e leggera. Schermaglie amorose e inganni che conducono a un finale dove trionfa l’amore

Opéra-comique in due atti
Musica di Hector Berlioz
Libretto di Hector Berlioz, da Molto rumore per nulla di William Shakespeare


Maestro concertatore e direttore d’orchestra Donato Renzetti
Regia Damiano Michieletto 

Personaggi e Interpreti:

  • Don Pedro Nicola Ulivieri
  • Claudio Yoann Dubruque
    Bénédict Julien Behr, Giorgio Misseri (29, 5)
  • Léonato Gérald Robert-Tissot
  • Héro Benedetta Torre, Francesca Benitez (29, 5)
  • Béatrice Cecilia Molinari, Sofia Koberidze (29, 5)
  • Ursule Eve-Maud Hubeaux, Gaia Petrone (29, 5)
  • Somarone Ivan Thirion

Mimi:Amedeo Podda (scimpanzè), Alessandro Percuoco (Adamo), Miryam Tomè (Eva), Simone CampisiFabrizio CarliLuca De RinaldoHumberto Jimenez Rios

Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Coreografia Chiara Vecchi
Luci Alessandro Carletti

Nuovo allestimento dell’Opéra de Lyon
in collaborazione con la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova

Prima rappresentazione in Italia

Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti

 

 

Teatro Carlo Felice, 28 ottobre 2022


Il Teatro Carlo Felice di Genova sembra davvero intenzionato a differenziarsi (quanto meno nella scelta di un titolo inaugurale non certo di primo impatto) da quel repertorio consolidato che sembra ormai essere la solo apparente sicura scelta per alcuni importanti palcoscenici del nostro bel paese.

L’obiettivo di rivolgere l’attenzione ad un pubblico nuovo, diversificato (molti gli studenti presenti) e fluido ha portato così a questo interessante allestimento di Béatrice et Bénédict, ultima fatica di H. Berlioz mai rappresentata in Italia, nella produzione di Damiano Michieletto, già prodotta con successo all’Opéra di Lyon in collaborazione con la stessa Fondazione ligure.

L’opera è stata tratta dallo stesso compositore dallo shakespiriano “Much Ado About Nothing” , riducendone però drasticamente la drammaturgia (mancano infatti tutte le potenti parti tragiche); il melodramma viene dunque ridimensionato in un insieme di siparietti che, seguendo la linea dell’opera-comique, sono collegati da un dialogo parlato semplice e continuo, portandoci all’interno di una partitura che attraverso alcune preziose gemme musicali (Ouverture, duetto Ursula-Héro, aria di Béatrice, Siciliana) si rivela godibile e fresca.

Da una struttura teatrale sostanzialmente privata dunque del suo climax drammatico, Damiano Michieletto costruisce, con lenta ma puntuale determinazione, una riflessione potente nella sua cruda semplicità, sulla natura dell’amore soffermandosi con più attenzione su quello coniugale.

La scena si svolge in uno spazio scenico, delineato con sguardo tagliente da Paolo Fantin attraverso le luci di Alessandro Carletti ed i costumi di Agostino Cavalca, inizialmente pulito e semplice dove il personaggio di Somarone ( inserito da Berlioz quale componente comico-polemica ) sembra intento a realizzare un programma concentrato proprio su questo tema. Le due coppie di amanti vengono dunque prese ad esempio di due modi differenti ed opposti di affrontare il sentimento ma, mano a mano,  la scena (dominata spesso da  un mimo travestito da gorilla a simboleggiare la nostra origine primitiva e priva di convenzioni) si arricchisce di dettagli e diversificate varianti e viene gradatamente occupata da una foresta vergine (in cui si muovono i nostri progenitori) che sarà poi  distrutta e soffocata da una simbolica grata/prigione che, distruggendola, andrà a soffocare ogni singola libertà affettiva. La semplicità della metafora che contrappone la diversa forma espressiva di un sentimento assume cosi carattere universale attraverso un uso sapiente di quegli strumenti  che solo con il teatro vengono messi in gioco. Assolutamente potenti divengono i momenti in cui ad esempio la foresta viene visivamente distrutta attraverso l’innalzamento della simbolica barriera da cui gli amanti, costretti in un forzato abbigliamento nuziale, cercano di fuggire, così come il metaforico uso delle farfalle  imprigionate in bacheche (così come le immagini degli sposi) e liberate poi al termine dalla coppia ‘ribelle’ composta da Béatrice et Bénédict. I simboli sono infiniti e diverrebbe sterile o pedante dipanarli tutti in questo spettacolo che, come sempre in teatro, ha bisogno di essere visto ed esaminato attraverso la propria sensibilità, comunque lo si voglia giudicare (e non sono mancate isolate contestazioni al termine) in quanto fitto di messaggi che, oggi più che mai, non possono lasciare indifferenti.

Un flash potente, che certo può dar fastidio agli occhi sul momento,  ma che contribuisce a dare giusta luminosità all’insieme.

Musicalmente parlando il cast impegnato si è comportato con giusta professionalità unendo ad un canto sempre misurato, una recitazione (ricordiamo i molti brani parlati) ed una scena sempre attente ed efficaci anche se mancava, a tratti, quella componente fortemente espressiva che certo avrebbe contribuito a cesellare meglio i caratteri, diversamente piatti e monocromi.

Partendo dalle coppie di amanti Yoann Dubruque ha delineato un Claudio molto sensibile e professionale e Benedetta Torre, impegnata nel personaggio di Héro, ha affrontato con attenzione il suo carattere, mostrandosi sostanzialmente corretta anche se non impeccabile al confronto con questa partitura, non di così facile esecuzione.

Il Bénédict di Julien Behr si è comportato al meglio cesellando la sua timbrica un po’ opaca attraverso un canto attento e sfaccettato mentre ottimamente si è portata Cecilia Molinari in una parte intensa e forte come quella di Béatrice che ha risolto con una giusta e potente costruzione interpretativa.

Intensa e sensibile l’interpretazione di  Eve-Maud Hubeaux quale Ursule. Corretti e misurati anche Nicola Ulivieri quale Don Pedro, Gérald Robert-Tissot (Léonato) e Ivan Thirion (Somarone). Una segnalazione speciale al  bravo mimo Amedeo Poda (gorilla).

Buono il coro del Carlo Felice diretto da Claudio Marino Moretti.

Donato Renzetti ha diretto con la consueta professionalità anche se, considerata la forte componente didascalica della partitura, questa avrebbe forse necessitato di uno scavo maggiormente approfondito che potesse rivelarne al meglio le sottili e ben presenti sfumature.

Teatro gremito di un pubblico entusiasta e molto diversificato che ha tributato un autentico successo allo spettacolo che (ad onta di qualche assolutamente legittima contestazione) ha il grande merito di riaprire l’orizzonte di Genova verso quella ricca sperimentazione teatrale che ne è sempre stata la caratteristica.

Silvia Campana

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