Barbiere di Siviglia a Parma: quando la tradizione non è muffa!

Barbiere di Siviglia a Parma: quando la tradizione non è muffa!

  • 07/04/2019

IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Melodramma buffo in due atti di Cesare Sterbini dalla commedia omonima di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais

Musica
GIOACHINO ROSSINI

 

Maestro concertatore e direttore ALESSANDRO D’AGOSTINI

Regia BEPPE DE TOMASI
ripresa da RENATO BONAJUTO

 

Personaggi Interpreti:

  • Il Conte d’Almaviva XABIER ANDUAGA, FRANCISCO BRITO (23, 30)
  • Don Bartolo SIMONE DEL SAVIO, VINCENZO TAORMINA (23, 30)
  • Rosina CHIARA AMARÙ, CAROL GARCIA (23, 29, 30)
  • Figaro JULIAN KIM, MARIO CASSI (23, 29, 31)
  • Don Basilio ROBERTO TAGLIAVINI, GUIDO LOCONSOLO (23, 30)
  • Fiorello LORENZO BARBIERI
  • Berta ELEONORA BELLOCCI
  • Un ufficiale GIOVANNI BELLAVIA

 

Scene POPPI RANCHETTI

Costumi ARTEMIO CABASSI

Luci ANDREA BORELLI

ORCHESTRA DELL’EMILIA-ROMAGNA ARTURO TOSCANINI

CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA

Maestro del coro MARTINO FAGGIANI

Allestimento del Teatro Regio di Parma

 

PARMA: Il barbiere di Siviglia – Gioachino Rossini,23 marzo 2019


Bellissima regia dove l’esposizione dei fatti avviene senza astruserie le cui pretese finiscono sempre con l’orientare l’attenzione dello spettatore su molteplici aspetti che spesso poco o nulla hanno a che vedere con la narrazione, ma piuttosto con il desiderio di imporre nuove idee da parte di sedicenti creativi. La storia è lì, già scritta, e va solo raccontata facendolo nel migliore dei modi. Così si racconta il Barbiere di Siviglia, o qualsiasi altra opera, come è stata scritta. La Cultura, quella alla quale il Teatro fa riferimento per reperire i fondi, dovrebbe essere considerata come qualcosa di sacro. Del resto credo che nessun genitore approverebbe un insegnante che raccontasse al proprio figlio di un Garibaldi o di un Napoleone in costumi adamitici che balla la polka sulle pendici del monte Fuji. Di sicuro ne parlerebbe la stampa, ma a differenza di quanto avviene in teatro, l’insegnante verrebbe licenziato. Con questo non si vuole cassare a prescindere ogni possibile digressione dall’originale, vi sono e vi sono state in questa e in altre sedi rappresentazioni regie-theater di sicuro interesse e ben supportate da attenti studi sulla drammaturgia, ma è certo che un minimo di autocensura e di responsabilità non potrebbe che giovare alla percezione che il pubblico ha dell’istituzione teatrale. La cultura è un patrimonio da tramandare attraverso la testimonianza onesta e sincera di chi se ne assume l’onere.Così è la regia di Renato Bonajuto che ci ha offerto una lettura cristallina di questo capolavoro rossiniano che non è soltanto una ripresa di quella produzione che fu di Beppe De Tomasi, suo mentore e maestro, bensì un netto miglioramento che pur senza tradire l’origine non si accontenta di ricalcarne i passi, ma li fa danzare a tempo di narrazione, in un frizzante gioco che arriva diritto al cuore e all’immediata comprensione da parte del pubblico in sala, che inutile dirlo, ha molto gradito e ricambiato con scroscianti applausi.Un successo reso possibile anche grazie al supporto di un allestimento scenico al limite tra il fiabesco e l’onirico, frutto di preziose scene e costumi realizzate rispettivamente da Poppi Ranchetti e Artemio Cabassi, ulteriormente valorizzate dalle luci poste in essere da Andrea Borelli.

Per quel che concerne l’aspetto musicale, e più precisamente in merito al titolare sul podio nel golfo mistico, il Maestro Alessandro d’Agostini, ci è parso piuttosto eccessivo un certo mugugnare alla ribalta, se pur da parte di qualche sparuto avversario. In verità la bacchetta alla guida dell’eccellente Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini ha dato prova di ottime capacità di concentrazione e precisione in quanto a sincronia tra palco e buca. Benissimo anche il Coro del Teatro Regio di Parma, come sempre ottimamente istruito dal Maestro Martino Faggiani.

Inopinabili le scelte operate dalla direzione artistica, nella persona di Cristiano Sandri, in quanto alla formazione di un eccellente cast, bene amalgamato tanto per vocalità quanto per presenza scenica. Ne derivano un Figaro brillante e vocalmente molto bene impostato, quello del sud-coreano Julian Kim, la straordinaria Chiara Amarù che ci restituisce una Rosina dalle agilità impeccabili e interpretazione degna di nota. E ancora, un apprezzabile Conte d’Almaviva interpretato dal giovane Xabier Anduaga dotato di una timbrica e volume importanti, ma ancora perfettibile nelle agilità. Roberto Tagliavini, parmigiano doc, nel ruolo di Don Basilio che torna dopo un’assenza decennale nel suo teatro forte di un’esperienza internazionale di tutto rispetto ed una vocalità consolidata. Simone del Savio nei panni di Don Bartolo è semplicemente perfetto tanto vocalmente quanto scenicamente, offre una comicità misurata e divertente senza mai eccedere. Ottima la Berta di Eleonora Bellocci che si è distinta per doti sceniche e per la perfezione di intonazione dei DO nel concertato finale del primo atto. Buoni il Fiorello di Lorenzo Barbieri e lo spassoso Ufficiale di Giovanni Bellavia.

Teatro stracolmo sin fino all’ultimo ordine e bellissimo pubblico lungi dalle fredde platee che tradizionalmente gremiscono le sale delle “prime” con aria di sufficienza. Che forse il ritorno ad una forma di teatro sobrio ed elegante sia riuscito a riscaldare quegli animi che troppo spesso si sono visti persi in rappresentazioni nonsense e deludenti? Il fatto è che gran parte del pubblico si è intrattenuto ancora a lungo per testimoniare l’alto indice di gradimento, e tanto basti!

Roberto Cucchi

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