ASCOLI: La Bohéme – 18 Novembre 2017 

ASCOLI: La Bohéme – 18 Novembre 2017 

  • 28/11/2017

direttore d’orchestra Matteo Beltrami
regia Leo Muscato

Personaggi e Interpreti:

  • Mimì Benedetta Torre
  • Musetta Barbara Bargnesi
  • Rodolfo Azer Zada
  • Marcello Marcello Rosiello
  • Schaunard Filippo Fontana
  • Colline Roberto Lorenzi
  • Parpignol Davide Ciarrocchi
  • Benoit Alessio De Vecchis
  • Alcindoro Davide Filipponi
  • Sergente dei doganieri Carlo Bonelli
  • Doganiere Niccolò Pelusi
  • Venditore Francesco Amodio

Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verrazzi

Produzione e allestimento della Rete Lirica delle Marche
orchestra Form
Coro del Teatro Ventidio Basso
con la partecipazione del coro voci bianche La Corolla
e del coro Piccole Voci Isc Don Giussani
maestro del coro Giovanni Farina
maestro del coro voci bianche Mario Giorgi
allestimento dell’ Associazione Arena Sferisterio Macerata Opera Festival


Si corre il serio pericolo di divenire oltremodo tediosi nell’intento di andare ad osteggiare indiscriminatamente tutte quelle produzioni operistiche, più o meno riuscite, in cui il tentativo di ammodernamento, più o meno intelligente, va inevitabilmente, se non ad urtare gli animi, quantomeno ad accendere discussioni che spesso dividono. Personalmente trovo a dir poco disonesto l’atteggiamento di alcuni teatri nel proporre stravolgimenti di titoli di tradizione celati sotto alla dicitura “nuova produzione”, senza che si anticipi alcunché riguardo le intenzioni della regia. Il peso della parola andrebbe preso in maggior e seria considerazione!  Così è che “nuova produzione” ha oggi assunto una nuova accezione, tale da far presagire la totale distorsione dei contenuti originali ad uso della nuova regia, il cui unico intento sembra voler essere proprio quel “far parlare di sé”. Poco importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli!

Altra cosa è invece la sperimentazione di nuovi percorsi apertamente dichiarati attraverso conferenze stampa, diffusione di immagini… per farla breve, di tutto quel tanto che basta acché il pubblico seduto in sala non si senta destabilizzato dall’innovativa rappresentazione, ma piuttosto, incuriosito dalle soluzioni proposte. Bene intesi, spostare nel tempo, talvolta anche nel luogo, quello che in origine è già precisamente contestualizzato, comporta necessariamente delle forzature, questo a meno che non si voglia in qualche modo metter mano anche al libretto, cosa che per altro in molti vorrebbero già da tempo. Penso, però, che sdoganare tali scelte sia un po’ come abbattere l’ultimo baluardo che ci separa dal caos totale dove anche il direttore potrebbe sovvertire la musica e gli interpreti cantarla a piacer proprio.

La Bohéme, rappresentata per la prima volta a Torino nel 1896, potrebbe quasi essere quello che per un antiquario verrebbe definito come oggetto di modernariato. Per fare un esempio, se la Bohéme fosse una tela dipinta ad olio, troverebbe facile collocazione anche tra arredi attualissimi. La musica, così come la parte letteraria di Giacosa ed Illica, non soffrono particolarmente di una vetustà in termini di linguaggio, così come diversamente accade con moltissime altre composizioni anche contemporanee a Puccini, cosa che consente spostamenti nel tempo senza cadere nel ridicolo.

L’idea di Leo Muscato si spinge ben oltre l’attualizzazione del capolavoro pucciniano, ricontestualizzandolo non ai giorni nostri, bensì negli anni della contestazione, ovvero fine ’60 – inizio ’70 dello scorso secolo. Un esperimento rischioso e non privo di insidie, e ciò a partire proprio da quella che è un po’ l’essenza stessa di quest’opera che se pur d’epoca verista, è, e rimane, la vena romantica. Qualcosa dunque, già di per sé molto lontano dall’atmosfera sessantottina, dove amore-sesso libero sembrano dominare la scena. Avrebbe forse trovato maggior ampiezza negli spazi di manovra in ambiente contemporaneo, dove gli ardori di matrice etico-sociale si sono ormai pacati, e la vita alla bohémien è  di fatto rientrata a far parte di una realtà oggettiva, in special modo tra gli studenti universitari, ma non soltanto. Ma non è certo nel timido approccio, o nel manovrare in assoluta sicurezza che si è portato l’uomo sulla Luna. Sperimentare richiede coraggio, e se anche qualche forzatura c’è stata, poco importa se nel complesso la rappresentazione in sé regge e diverte… almeno quella fascia di pubblico bene informata e ben disposta all’innovazione. Le contaminazioni provenienti dal mondo cinematografico, come ad esempio la trasmutazione alchemica del caffè Momus in una discoteca con balli e costumi discomusic con chiaro riferimento a Travolta ed ai Bee Gees, denotano una precisa volontà: quella di raccontare una storia. Quello che ne deriva è qualcosa di diverso dall’idea dell’autore, ma comunque intelligente e ricercato.

Della direzione di Matteo Beltrami si sono ormai esaurite le parole per lodarne le qualità: solido,  padrone attento come sempre alla buca e al palco, e così come ogni artista dovrebbe essere, in costante e continua crescita… possiamo facilmente immaginare dove arriverà, ed è là che ancora  ci faremo trovare con piacere ad ascoltare il suo modo di fare  musica. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana risponde perfettamente ai comandi e mostra di aver ben compreso le dinamiche pucciniane. Benissimo il Coro Ventidio Basso ottimamente istruito dal Maestro Giovanni Farina, oltre al Coro Voci Bianche La Corolla e Coro Piccole Voci ISC Don Giussani istruiti dal Maestro Mario Giorgi.

Le scene di Federica Parolini sono di sicuro impatto e perfettamente funzionali alla narrazione, così come i costumi di Silvia Aymonino le cui intenzioni appaiono di facile lettura. Sulle luci di Alessandro Verazzi occorrerebbe aprire un intero paragrafo per sondarne le scelte ed eventualmente  capire se vi fossero limiti tecnici degli impianti… mi riferisco ad esempio all’inappropriatezza della piena luce sull’aria della gelida manina e, volendo avallare l’idea della discoteca, all’assenza di luci psichedeliche e della classica palla di specchi rotanti che ne amplifichi l’effetto.

Degli interpreti, tutti, possiamo dire: promossi! Benedetta Torre, una valida Mimì anni ’70. Azer Zada già conosciuto sulle nostre pagine in seguito alla Carmen in quel del Teatro Coccia di Novara, ed anche lì al suo debutto nel ruolo, un buon Rodolfo che avrà occasione di crescere ulteriormente ed acquisire la necessaria sicurezza nei propri mezzi. Degno di nota Marcello Rosiello nel ruolo omonimo di Marcello. Bene Schaunard di Filippo Fontana, Colline di Roberto Lorenzi, Musetta di Barbara Bargnesi, Benoit di Alessio De Vecchis, Alcindoro di Davide Filipponi e Parpignol di Davide Ciarrocchi. Completano il cast Carlo Bonelli in un Sergente dei Doganieri, Niccolò Pelusi in un Doganiere e Francesco Amodio in un Venditore Ambulante.

Successo di pubblico con ripetuti applausi a scena aperta e ripetute chiamate alla ribalta negli applausi finali.

Roberto Cucchi 

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