PISA – Teatro Verdi – Ancora un successo per questo inizio di stagione lirica con Il “Don Giovanni Tenorio o sia Il Convitato di Pietra” di Gazzaniga 9 Novembre 2015

PISA – Teatro Verdi – Ancora un successo per questo inizio di stagione lirica con Il “Don Giovanni Tenorio o sia Il Convitato di Pietra” di Gazzaniga 9 Novembre 2015

  • 09/11/2015

Giuseppe Gazzaniga
DON GIOVANNI o sia IL CONVITATO DI PIETRA

dramma giocoso, libretto di Giovanni Bertati

 

Direttore: Federico Bardazzi
Regia: Alessio Pizzech

Personaggi e Interpreti:

  • Don Giovanni: Max Jota
  • Il Commendatore: Daniele Cusari
  • Donna Anna: Madina Karbeli
  • Duca Ottavio: Roberto Cresca
  • Donna Elvira: Yukiko Aragaki
  • Donna Ximena: Moon Jin Kim
  • Pasquariello: Carlo Torriani
  • Biagio: Federico Cavarzan
  • Maturina: Giulia De Blasis
  • Lanterna: Antonio Pannunzio

Coordinamento scenografico: Giacomo Callari e Enrico Spizzichino
Disegno luci: 
Michele Della Mea

Orchestra Arché

Coro Laboratorio Lirico San Nicola
Maestro del Coro Stefano Barandoni

Produzione Teatro di Pisa

 

Servizio di Stefano Mecenate

2 (2)Convincere il pubblico ad assistere alle opere sembra essere diventata, per il direttore artistico del teatro Verdi di Pisa Marcello Lippi, una buona abitudine, quasi una consuetudine: così, dopo il successo del Simon Boccanegra, il Verdi registra un altro, e forse ben più difficile, successo con un’opera sconosciuta ai più e priva di quei nomi che attirano pubblico solo (o prevalentemente) per la loro fama.

A conclusione del grandioso progetto “Una gigantesca follia – Don Giovanni festival” che ha rivisitato per tredici mesi la figura di questo emblematico personaggio attraverso la lirica, la prosa, il cinema, la letteratura e una serie di dialoghi interdisciplinari curati dall’Università di Pisa, è stato presentato il DON GIOVANNI TENORIO o sia IL CONVITATO DI PIETRA di Giuseppe Gazzaniga, per la prima volta a Pisa.

Per quest’opera, datata 1787, Gazzaniga si ispirò al dramma di Tirso da Molina affidando al Giovanni  Bertati il compito di stendere il libretto: sicuramente anticipatrice del capolavoro di Mozart, l’opera si inserisce nel filone dell’opera buffa pur differenziandosi notevolmente da quella buffoneria tipica del ‘700 e caratterizzandosi come una delle più significative opere di quel secolo.

2 (6)Insomma, apparentemente nulla di “popolare” almeno in termini attrattivi: eppure il pubblico c’era e numeroso e a lui è stata riservata una serata degna del miglior teatro!

Intelligente l’idea registica di Alessio Pizech: «Ho immaginato – racconta Alessio Pizzech – una versione semplificata, asciugata e centrata sulle relazioni tra i personaggi, tra quel rapporto tra il linguaggio del buffo e l’emergere dei colori del drammatico; questa edizione del Don Giovanni di Gazzaniga / Bertati è così collocata in uno spazio scenico simbolico, un luogo prospettico, una sorta di orizzonte teatrale  dove il protagonista accoglie i personaggi della sua storia, del suo cammino di protagonista.»

In realtà l’operazione vincente è stata quella di rendere “familiari” i personaggi, riconoscibili ed identificabili, pur in costume dell’epoca, con quelle tipologie umane che affollano la nostra quotidianità. Così poco importa della quasi assenza delle scenografie che nulla, in quel clima che si era creato, avrebbero aggiunto a quel roboante susseguirsi di eventi e di reazioni che, se conducono al ferale epilogo il povero Don Giovanni, “liberano” tutti gli altri personaggi che possono tornare ad essere ciò che, nel bene e nel male, sarebbero stati senza aver incontrato quell’ingombrante funambolo della seduzione e della mistificazione, demone intrigante e pericoloso perché invidiabile pur nella sua “malvagità”.

2 (3)In fondo, ognuna delle sue amanti avrebbe fatto carte false per averlo accanto, e i suoi “rivali” maschili, quando non l’invidiano, non possono fare a meno di ammirarne l’imprudenza e la scaltrezza pur anche se rivolta contro di loro.

Pizech “gioca” con quei personaggi che Gazzanica e Bertani propongono cogliendo i caratteri più significativi ed esaltandone la maschera che rappresentano. Il palcoscenico non basta più ai loro movimenti: per essere davvero reali si devono allargare oltre quella cornice ed ecco che usano abilmente anche la platea interagendo persino con il pubblico chiamato a recitare con loro così da rendere ancora più tangibile la correlazione tra la loro storia e le tante storie parallele dei presenti.

Un’abile mossa che abbiamo apprezzato per quella complessiva “leggerezza” (mai gratuita o inopportuna) che regala ad ogni scena fino alla danza finale.

L’Orchestra Arché, sapientemente diretta dal Federico Bardazzi, sembra essere sempre parte di quella storia e non di accompagnamento ad essa: vive e fa vivere quei momenti quasi fosse uno dei personaggi, quasi che la musica fosse la “voce fuori campo” in grado di esprimere, in autonomia, una propria visione di ciò a cui assistiamo.

Bardazzi ha diretto con precisione e calore: ciò ha permesso alla musica di vivere e palpitare, dando vita ad un suono ricco, corposo e al contempo estremamente nitido.

2 (7)Come dicevamo, assenti nomi di prestigio, il cast era costituito da giovani con tutto ciò che di positivo e di negativo questo comporta: certamente non abbiamo assistito ad un trionfo di vocalità e in alcuni casi erano evidenti alcune lacune che non sappiano se attribuire al loro essere ancora “acerbi” oppure ad un ruolo meno adatto alle loro specificità. Di certo, però, e ci teniamo a sottolinearlo, l’effetto d’assieme ha funzionato a tal punto che gli applausi hanno accompagnato l’intero corso della rappresentazione per terminare con una ovazione ed una serie di chiamate alla ribalta, segno di una capacità di coinvolgimento emotivo che è andato oltre ai limiti della tecnica.

Proprio per questo, senza fare classifiche, vogliamo ricordare tutti gli interpreti con identica simpatia: ognuno di loro ci ha regalato, con le sue possibilità, una bella rappresentazione del proprio personaggio cantandolo e interpretandolo con tanta convinzione e passione da far scivolare in secondo piano (che non significa ignorare) i deficit oggettivi.

Iniziamo col severo Commendatore a cui ha dato voce e corpo il basso Daniele Cusari per continuare con Madina Karbeli, Donn’Anna; Roberto Cresca, Don Ottavio; Yukiko Aragaki, Donna Elvira; Moon Jin Kim, Donna Ximena; CarloTorriani, Pasquariello; Federico Cavarzan, Biagio; Giulia De Blasis, Maturina; Antonio Pannunzio, Lanterna e, buon ultimo, lui, il perfido seduttore, Don Giovanni interpretato dal tenore Max Jota.

Come non ricordare il binomio Lanterna/Pasquariello, davvero due grandi attori l’uno spalla dell’altro nei vari momenti della narrazione scenica, o il gustoso battibecco tra Maturinia ed Elvira iniziato a colpi di parole per finire a colpi d scarpa o il brindisi dedicato a Pisa e alle sue donne, anziché a Venezia, da Pasquariello? Tutto concorre, con un delicatissimo equilibrio mai rotto, a fare di quest’opera sconosciuta un trionfo che conquista il pubblico. Un piacere vederlo applaudire, un piacere non cogliere neppure un attimo di noia o di delusione, un piacere vedere come, anche per opere fuori dal normale repertorio, sia possibile trovare spettatori che “si fidano” e che vengono per questo premiati da una qualità che a Pisa sembra non mancare sia nei grandi spettacoli che nelle produzioni minori finanche il quella “lirica da Camera” che, pur messa in scena nella sala Titta Ruffo, non manca di regalare piacevoli emozioni.

Che dire? Il 14 novembre è in programma  Il convitato di pietra di Tritto, nella revisione curata da Roberto De Simone, il 21 novembre con prima italiana assoluta in tempi moderni,  Il convitato di pietra di Pacini, nell’edizione critica a cura di Jeremy Commons e Daniele Ferrari.

Non possiamo che augurarci che siano due spettacoli come quello a cui abbiamo assistito e che il pubblico continui a credere nelle proposte del direttore artistico per non far mancare la propria presenza a questo prezioso epilogo di un complesso affresco che ha cercato di disegnare un personaggio che ha attraversato ed attraversa la storia e la cultura portando con sé interrogativi e dubbi ai quali, se in molti hanno cercato di dare risposte, ancora nessuno ha saputo darne di così esaustive da mettere la parola fine.

Servizio di Stefano Mecenate

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