SASSARI: Rigoletto – Giuseppe Verdi, 9 novembre 2018

SASSARI: Rigoletto – Giuseppe Verdi, 9 novembre 2018

  • 10/11/2018

RIGOLETTO

Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave

 

Direttore d’Orchestra Matteo Beltrami

Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi

Personaggi e Interpreti:

  • DUCA DI MANTOVA – Giulio Pelligra
  • RIGOLETTO – Vladimir Stoyanov
  • GILDA – Aleksandra Kubas-Kruk
  • SPARAFUCILE – Andrea Comelli
  • MADDALENA – Sofia Janelidze
  • GIOVANNA – Serena Muscariello
  • IL CONTE DI MONTERONE – Fulvio Fonzi
  • MARULLO – Stefano Marchisio
  • MATTEO BORSA – Didier Pieri
  • IL CONTE DI CEPRANO – Francesco Leone
  • LA CONTESSA DI CEPRANO – Serena Muscariello
  • USCIERE – Francesco Leone
  • PAGGIO – Veronica Abozzi
Costumi Nicoletta Ceccolini
Scene Leila Fteita
Luci Tony Grandi
Le foto sono di Elisa Casula

Successo più che prevedibile per questo Rigoletto andato in scena in prima rappresentazione all’Ente Concerti Marialisa De Carolis di Sassari in coproduzione con il Teatro Coccia di Novara che ne ha già viste due precedenti recite con Stefan Pop nei panni del Duca di Mantova e Roberto De Candia nel ruolo eponimo.

Tendenzialmente si è portati a pensare che il solo titolo sia di per sé garanzia di successo, ma la sola vendita di tutti i biglietti disponibili, così come è puntualmente accaduto, non rappresenta quello che si può definire un successo. Occorre assai più di questo per poter affermare con assoluta certezza che l’obbiettivo sia stato centrato.

Da ormai troppo tempo non si fa che parlare e parlare di crisi del teatro d’opera (come se davvero ce ne fosse una!) e di come risolvere il problema “svecchiando” quelli che sono invece grandi capolavori indiscussi e indiscutibili. Personalmente ho sempre sostenuto che semmai una sorta di ammodernamento fosse possibile, questi potesse riguardare esclusivamente una chiave di lettura che facesse riferimento ad un più contemporaneo aspetto psicologico dei personaggi e dell’atmosfera in generale, che non allo stravolgimento nonsense dell’intera drammaturgia, dell’ambientazione o della collocazione storica. La decontestualizzazione non può che raggiungere il fine ultimo di demolire i pilastri su cui si regge l’intero edificio producendone il crollo se non totale, quantomeno parziale. Ed è comunque un danno.

Ciò non di meno va concesso il beneficio della creatività alle nuove regie che non possono più proporsi quali semplici artigiane di un prodotto già pur ben preconfezionato dall’autore, ma ci si aspetta che perlomeno gli si renda giustizia e onore.

Di questa produzione si è già molto parlato anche sulle stesse nostre pagine (QUI la recensione a cura del dott. Andrea Merli, QUI quella a cura del dott. Paolo T. Fiume), ma quello che si può aggiungere avendone personalmente seguito l’evolversi fin dallo stato embrionale è la sensibilità e la profonda umiltà dei registi Paolo Gavezzeni e Piero Maranghi, nei riguardi dell’opera e del suo autore.

Ed è proprio la sensibilità quello che più emerge da questa insolito e, se vogliamo, innovativo modo di voler rappresentare un dramma inflazionato dalle innumerevoli e spesso inutili rappresentazioni che si sono succedute in così tanti anni.

L’intero dramma si svolge all’interno di una cornice, eccezion fatta che per “zitti, zitti..” in cui il coro osserva il rapimento dall’esterno del “quadro”. Un quadro di straordinaria bellezza, tratteggiato da Leila Fteita, dai tratti e dai colori cinquecenteschi, ma completamente disadorno, spoglio di ogni orpello e drappeggio, e ridotto all’essenziale persino nell’attrezzo. A rendere l’epoca ed a completare la scena saranno quindi i bellissimi e vividi costumi ad opera di Nicoletta Ceccolini, il tutto reso ancor più suggestivo dal sapiente lavoro di luci di Tony Grandi. Nell’insieme si ha una visione nuova, dove si è agito per sottrazione del superfluo, così da ottenere la massima concentrazione del pubblico sul personaggio che resta ben contestualizzato e opportunamente caratterizzato.

Ne derivano in primis un Rigoletto dai toni cromatici fortemente contrastanti che mettono in risalto la personalità bipolare di un personaggio che è vittima solo del suo stesso agire. Una profondità di certo non facile quella che si vuole ottenere e si raggiunge dall’interpretazione del baritono bulgaro Vladimir Stoyanov che senza scivolare nella consuetudine di accenti eccessivi e gigionerie riesce a stabilire un contatto emozionale con il pubblico, rinunciando agli acuti richiesti dalla tradizione e non scritti da Verdi e mostrando un eccellente registro laddove permesso. Diversi e ripetuti sono stati gli applausi a scena aperta a lui rivolti. Sorprendono le sonorità del soprano polacco Aleksandra Kubas-Kruk, fortemente voluta (e a ragion veduta) dal direttore artistico Stefano Garau, che ci offre una Gilda completa nei suoi passaggi evolutivi che vanno dalla giovane e innocente innamorata con messe di voce e trilli degni di nota oltre che un’intonazione disarmante, alla più consapevole e drammatica maturazione del personaggio messa a confronto col padre e con la realtà dei fatti, sino all’epilogo con il proprio sacrificio. Anche per lei ripetuti e continui applausi. Giulio Pelligra segna un felice debutto nel difficile ruolo del Duca di Mantova, sempre in linea con il lite-motive di questa produzione che lo vuole sì baldanzoso come nella tradizione, ma non troppo. Solido e ben misurato nell’emissione vocale. Facili acuti e ottimo fraseggio, all’insegna di un’italianità non più tanto scontata neanche tra i nostri stessi concittadini. Inutile dirlo… anche per il Duca non sono mancati applausi insistenti e ripetuti.

Monterone, Fuvio Fonzi, è dotato di un mezzo vocale da basso non indifferente e di ottima presenza scenica. Peccato per lui un inciampo che ha provocato un breve istante di smarrimento fortunatamente risolto grazie all’esperienza del titolare sul podio. Molto bene il basso Andrea Comelli nella parte di Sparafucile finalmente rappresentato in abiti e trucco tutt’altro che grotteschi. Voce importante e udibile in ogni suo intervento. Dicasi lo stesso per il mezzosoprano georgiano e ormai nazionalizzato italiano Sofia Janelidze, puntuale e sempre godibile anche negli insidiosi interventi come nel quartetto e nel terzetto, laddove spesso  e a causa della tessitura se ne perde la percezione. Davvero molto bene il baritono Stefano Marchisio che non ci stancheremo mai di seguire con interesse e che ha fatto di Marullo un personaggio di pari dignità con i ruoli primari. Di lui si può dire molto, ma bastino la voce squillante e potente e un carattere da autentico mattatore.

E molto bene i pur piccoli interventi di Borsa di Didier Pieri  e di Serena Muscariello nel doppio ruolo della Contessa di Ceprano e di Giovanna. Bravo il Paggio della sassarese Veronica Abozzi. Completa il cast Francesco Leone nel doppio ruolo del Conte di Ceprano e Usciere.

A capo dell’ottima Orchestra dell’Ente Concerti, il Maestro Matteo Beltrami la cui vista al pubblico è occultata dall’architettura di un teatro che ha voluto una buca assai profonda, ed è un vero peccato per chi come me lo conosce bene ed ama apprezzarne anche la visione del gesto. Quel che però viene negato alla vista è ampiamente ripagato da un suono la cui presenza non entra mai in conflitto con quanto avviene sul palco sovrastandone la voce. Un’architettura quella dell’Ente De Carolis molto contestata, ma che di certo è corsa in aiuto alla costruzione di quelle sonorità ricercate e meglio raggiunte in questa che non in altra sede. Colore ed enfasi sono perfettamente coadiuvati da tempi serrati ed incalzanti.

Preciso il Coro e ben preparato dal Maestro Antonio Costa.

Roberto Cucchi

E qualche parola va pure spesa per la città di Sassari e per i suoi cittadini, sempre cordiali e altrettanto simpatici. Una terra ricca di storia ed una civiltà che nel continente appare tanto lontana, ma facilmente raggiungibile e che val bene il viaggio, non soltanto per uno dei mari definito non solo il più bello del Mediterraneo, bensì tra i più belli al mondo, ma anche per il paesaggio e non ultima la cucina. A tal proposito vale segnalare in via San Donato la straordinaria fainè alla sassarese: altro non è che la farinata per i liguri, o la cecina per i toscani… una tradizione che si perde nella notte dei tempi!

Print Friendly, PDF & Email
Share this Post