PALERMO: Pagliacci – Ruggero Leoncavallo, 20 giugno 2019

PALERMO: Pagliacci – Ruggero Leoncavallo, 20 giugno 2019

  • 27/06/2019

Direttore Alessandro D’Agostini 
Regia Lorenzo Mariani

Scene e costumi Maurizio Balò
Coreografia Luciano Cannito, ripresa da Luigi Neri
Luci Roberto Venturi

Personaggi e Interpreti:

  • Canio Carlo Ventre
  • Nedda Evgenia Muraveva
  • Tonio Federico Longhi
  • Beppe Matteo Mezzaro
  • Silvio Italo Proferisce
  • Un contadino Francesco Polizzi

Orchestra, Coro, Coro di voci bianche e Corpo di ballo del Teatro Massimo
Allestimento del Teatro Massimo


Aperto il sipario pareva di star dentro un quadro di Magritte. Scene geometriche, protese in alto, con un quid di surreale, che si confà allo spirito dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo.

Ottanta minuti senza alcun intervallo. Un tempo che per il pubblico scorre fin troppo velocemente, considerata la bellezza dell’opera, che è tale all’ascolto ed anche alla vista. La platea del teatro Massimo applaude e sul finale invoca anche il bis.
Un’opera attesa dagli affezionati del melodramma che è stata anche proscenio di una serie di saluti: quello al maestro Franco Zeffirelli, ricordato durante la prima del 15 giugno, quello del maestro Piero Monti, direttore del coro, che da settembre andrà a dirigere a Santa Cecilia a Roma, passando il testimone a Ciro Visco. L’arrivederci del direttore Daniel Oren, che, per un dolore all’anca, si è dovuto fermare alla seconda recita, con tanto di stop dei medici, che lo hanno obbligato a rimanere a Verona, dove si trovava per le prove di Traviata.


Gli subentra, e molto degnamente, Alessandro D’Agostini.
L’opera parte possente, con un prologo perfetto di Tonio, interpretato dal baritono Federico Longhi.
Longhi è di casa al teatro Massimo di Palermo. Era già stato applaudito per la sua interpretazione di Ping in Turandot, a gennaio scorso. Palermo conferma la stima per una delle migliori voci dell’opera internazionale. Il ruolo di Tonio mischia complessità a controversia. Una forte presenza scenica, una personalità di mezzo, una parte che racchiude pathos, amore e viltà. Un’interpretazione difficile, ma eseguita con la veterana sapienza dal baritono valdaostano.


Inizia la narrazione, ispirata a Leoncavallo da un fattaccio, a cui pare assistette lui stesso da piccolo. Una storia di sangue, in un paesino calabro, di cui è vittima il tutore del compositore. Un omicidio passionale, che segnò a fuoco l’immaginario di un piccolo Ruggero, già appassionato di musica.
Da lì l’input per una delle opere più apprezzate. C’è una piccola compagnia di teatro, che deve mettere in scena una commedia in un imprecisato paesino del sud Italia. Il capocomico è Canio, interpretato dal tenore Carlo Ventre, che riesce a dosare sapienza vocale a una forte passione, che arriva dritta al cuore del pubblico. Con lui ci sono la moglie Nedda, il soprano Evgenia Muraveva, che è insieme brava, bella e perfettamente calata nel personaggio ora canzonatorio, ora drammatico, quindi disperato dell’opera e i due commedianti, Tonio, Federico Longhi e Beppe, Matteo Mezzaro, apprezzatissimo nel momento di meta teatro in cui interpreta Arlecchino. Nedda è amata con riserva e gelosia dal marito Canio, che è più anziano di lei. La ama in segreto anche il deforme Tonio, che, allorquando si decide a dichiararsi e incassato malamente il rifiuto, non placa la passione. Si carica di voglia di vendetta e testimone del tradimento di Nedda con Silvio, un contadino del luogo, interpretato da Italo Proferisce, va a spifferare tutto al capocomico. Canio è devastato, coglie i due amanti sul fatto, non riconosce però nel contadino alcun tratto familiare. Vorrebbe agire d’impeto, ma deve andare in scena. Si trucca e si prepara per lo spettacolo, mentre intona la celebre aria Vesti la giubba, con un acuto perfetto, una compenetrazione pressoché totale e il giubilo del pubblico in sala.


Nella finzione sarò, guarda caso, un marito tradito. Ed  è così che la realtà si mischia alla commedia e Canio urla a Nedda il dolore, il risentimento, la gelosia. “No, Pagliaccio non son” canta struggendosi e quindi rivolto alla moglie, nelle vesti maliziose di Colombina, la condanna a un amore fattosi odio, a una gelosia che urla vendetta a lei e al suo amante. La poetica musicale del tenore Carlo Ventre e del soprano Evgenia Muraveva è appassionante, merito della precisione vocale dei due interpreti, del saper dosare bel canto a un’ars recitativa pressoché impeccabile. La commedia diventa dramma, Nedda inizia a temere e a presagire il dramma. Testimoni in scena sono gli altri due comici della compagnia, Beppe, in veste di Arlecchino, che vorrebbe intervenire per placare gli animi, e Tonio, carico ancora di rabbia e disprezzo, che glielo impedisce. Il finale è un triste tripudio di sangue, dolore e amore disperato. Canio uccide prima Nedda, accoltellandola, quindi Silvio, accorso in difesa dell’amata.
Quando la morte ha avuto la meglio sulla miscellanea di sentimenti portati in scena, Canio rivolto al pubblico decreta che “La commedia è finita!”

Applausi su applausi, per una delle opere più apprezzate del cartellone 2019 del teatro Massimo di Palermo. Una messa in scena vivace, vuoi nella lettura musicale, che in quella cantata ed anche nell’operato delle maestranze del teatro. Bravi i coreografi ed anche i costumisti, che potevano banalmente scadere nel pacchiano ed invece hanno riletto un’opera drammatica e con punte goliardiche, in grande stile. Molto chic la rivisitazione in chiave anni ’60 degli interpreti sul palco, con il coro del teatro, a cornice, in adorabili costumi a pois, righe o ton sur ton e con Canio, che è un pagliaggio triste ed estremamente charmant, degno appunto di un dipinto surrealista.

Maristella Panepinto

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